la paura della paura

La paura della paura: cos’è, come funziona, e come superarla

La paura della paura è un meccanismo psicologico molto frequente e di cui noi psicologi spesso siamo chiamati ad occuparci. Si tratta come dice la parola stessa dell’avere paura di percepire paura. Dello sviluppare una tale intolleranza alla sola possibilità di poter provare paura, tanto da arrivare al punto di iniziare a pensarci in modo quasi ossessivo, e mettere in moto una serie di comportamenti protettivi e di evitamento, atti a scongiurare ogni possibile ed ipotetica fonte di pericolo. La paura della paura fa il proprio esordio in concomitanza agli attacchi di panico. Ciò che intendo dire è che quando una persona inizia a soffrire di attacchi di panico, ed inizia ad esperire profonda paura per le sensazioni ed emozioni ad esso connesse, comincia anche a provare la profonda paura di poter sentire nuovamente le stesse sensazioni ed emozioni. Naturalmente non tutti coloro che soffrono di attacchi di panico sviluppano la paura della paura. Ma può accadere quando lo spavento ed il senso di impotenza ed incontrollabilità connessi a ciò che si è provato, sono stati tali da non voler più per nessun motivo al mondo rischiare di riprovarli. Questo profondo senso di intolleranza ha il potere di mettere in moto il meccanismo della paura della paura, che se non trattato a breve diviene un circolo vizioso che può condizionare profondamente la qualità della vita. In che modo? Tale senso di intolleranza alla sola possibilità di provare paura, fa si che allo scopo di proteggersi, il raggio d’azione dell’individuo divenga sempre più ristretto e difficile da gestire. Paura della paura: come funziona Colui che inizia a soffrire di tale meccanismo psicologico, passa molto del proprio tempo a pensare alla paura, a quanto provarla sia spaventoso, e alla possibilità di poterla esperire nelle più svariate situazioni e luoghi. Ciò significa che a forza di pensarci, nella propria mente tale individuo finirà inevitabilmente con l’ingigantire i propri pensieri connessi alla paura, e ciò porterà a percepirla molto più spaventosa di quanto sarebbe realmente, tanto più ingestibile e fin troppo possibile rispetto a quanto sarebbe nella realtà. Ma non è finita qui…pensieri ed emozioni sono connessi, quindi pensieri negativi chiamano certamente emozioni negative. E passando molto del proprio tempo a coltivare pensieri negativi, questa persona finirà anche per esperire molte emozioni negative. Soprattutto quando per vari motivi dovrà allontanarsi da casa. Tale individuo inizierà in automatico a pensare alla paura, a quanto sarebbe brutto provarla, e al fatto che non saprebbe cosa fare se accadesse, e finisce letteralmente in questo modo per “farsela venire”, proprio quella paura che mai avrebbe voluto. Ebbene si finisce per farsela venire a forza di pensarci. Colui che soffre di attacchi di panico infatti, oltre a pensare, passa molto del proprio tempo a controllare il proprio corpo. Cioè è quasi totalmente preso da sé, dall’interno, nel cercare segnali di quelle sensazioni di paura che mai più vorrebbe provare. Pensare cose negative+il controllo ostinato del proprio corpo, delle emozioni e sensazioni, fanno si che il meccanismo della paura della paura possa ripresentarsi. Ma manca ancora un elemento che contribuirà a chiudere inevitabilmente il cerchio e l’individuo in una spirale senza uscita, mi riferisco all’evitamento. Quando l’individuo comincia ad evitare di andare nei più svariati luoghi, di uscire da solo, il circolo vizioso si chiude e l’autostima si abbasserà sempre più, e lo scoraggiamento aumenterà in maniera esponenziale. Paura della paura come fare ad uscirne Quando l’individuo giunge in terapia in genere soffre di tale meccanismo da fin troppo tempo, tanto da essersi messo letteralmente in prigione in questo turbinio di paure. Cosa si può fare? Occorrerà smontare la teoria portante, e cioè che la paura non possa essere assolutamente provata. In genere la richiesta della persona è non voglio provare mai più paura. Ma non vede che il problema parte ed è sostenuto proprio da questo. Se una cosa non la voglio assolutamente, sarò infatti costretto a temerla, a controllarla, ad ingigantire, ed evitare. Se invece la percepisco come possibile, accettabile, e gestibile, perché mai dovrei temerla, controllarla o evitarla? Quindi questa teoria è il vero nocciolo del problema. Saranno tre le cose più importanti da fare: Non possiamo infatti fare tutto da soli, ed è complicato da soli sbrogliare tali meccanismi. Ma ci si riesce assieme capendo come fare. L’obiettivo è il ritornare a percepire la paura per ciò che è, e ripristinare la libertà personale, il raggio d’azione e la capacità di gestione dell’individuo. Ricordiamo che la paura è solo un’emozione, e la si può vivere senza uscirne sconvolti, ma occorre ed è possibile imparare a gestirla. Questa sarà la vera guarigione. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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Mindfulness

Mindfulness: praticare l’arte della consapevolezza per vivere appieno la vita

Quando parliamo di mindfulness ci riferiamo ad uno stato di piena consapevolezza del momento presente. Si tratta di una forma di apertura alla vita, alle emozioni e sensazioni, come si presentano qui e ora. Il nostro cervello tramite il pensiero spesso ci allontana dalla realtà, e ci porta in altre dimensioni (il passato, il futuro) con il risultato che viviamo in modo distaccato la nostra vita. E per la maggior parte del tempo funzioniamo in modo automatico, senza avere davvero la consapevolezza di ciò che stiamo vivendo. La mindfulness può essere definita da cinque aspetti fondamentali: Altre qualità di un atteggiamento mindful sono: curiosità, apertura, accettazione e amore. La mindfulness è una consapevolezza rilassata delle proprie sensazioni corporee, psicologiche e spirituali, che emerge quando dirigiamo intenzionalmente la nostra attenzione sull’esperienza presente, momento per momento. Consente di divenire pienamente consapevoli di ciò che stiamo vivendo, e liberarci degli automatismi che invece ci portano a vivere ogni giorno in modo meccanico. Ci aiuta a sintonizzarci con la nostra vita interiore e anche con le persone che ci circondano. Senza consapevolezza possiamo soffrire, in quanto la sofferenza non è altro che una discrepanza tra le esperienze reali che ci troviamo a vivere nella nostra quotidianità, e ciò che secondo noi e le nostre idee preconcette dovrebbe essere. Mindfulness: ci aiuta a guardare dentro La mindfulness ci aiuta a guardare cosa avviene dentro di noi con distacco, senza identificarsi con le emozioni e con i pensieri involontari che sono in noi ma non sono noi. Praticare la mindfulness consente di osservare le proprie reazioni come se stessimo guardando un fiume dalla sponda, senza farci trascinare dalla corrente. Naturalmente è indubbio che la sofferenza esiste, ed esistono il dolore, la malattia, la morte…aspetti imprescindibili delle nostra vita. Ma ciò che possiamo evitare è la sofferenza dovuta ad emozioni e pensieri automatici, che ci allontanano dall’esperienza diretta e che non ci consentono di affrontarla adeguatamente. Spesso non ce ne rendiamo conto ma anche nello svolgimento delle attività quotidiane, non siamo completamente presenti, non siamo del tutto immersi in quello che facciamo. Più spesso di quanto pensiamo svolgiamo una determinata azione e nello stesso momento ci lasciamo andare ai nostri pensieri, in un certo senso “mettiamo il pilota automatico”. Ma se mentre stiamo facendo qualcosa la nostra attenzione è rivolta ad altro, non solo finiamo per sentirci vuoti e col sentire la vita ripetitiva e noiosa, ma col reagire senza riflettere e innescare reazioni simili negli altri. Per liberarsi da tali automatismi e abbandonare il “pilota automatico” dobbiamo iniziare a praticare la consapevolezza, tramite esercizi che consentono di dirigere intenzionalmente l’attenzione sul respiro o altri aspetti della corporeità. Concentrarsi sul corpo consente di: La mindfulness è entrata anche nel mondo della psicoterapia, e viene utilizzata insieme a molte altre tecniche per promuovere il benessere, l’armonia e l’integrazione tra i vari aspetti della nostra mente e tra noi stessi e gli altri. Ricordiamo sempre che la consapevolezza non è una meta ma una condizione da vivere, e più viene praticata più diverrà naturale farlo e i benefici non tarderanno ad arrivare. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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evitamento come cambiare

Evitamento, un meccanismo di difesa pericoloso, come cambiare

Oggi parliamo di evitamento, un modello comportamentale altamente deleterio e molto diffuso. Chi di noi non ha mai evitato o rinviato qualcosa che non aveva voglia di fare? Chi di noi non ha evitato situazioni o persone che temeva di affrontare? Questo è l’evitamento. Occorre specificare che tutti noi qualche volta evitiamo. E che evitare solo qualche volta non presagisce alcun disturbo. Cosa ben diversa è parlare di qualcosa che si ripete molto spesso, di un’ abitudine che diviene un vero e proprio stile di vita. E soprattutto non riuscire a comportarsi in altro modo. Possiamo quindi parlare di disturbo da evitamento, quando tale condotta si presenta come una strategia reiterata nel tempo. E quando si tratta quasi o prevalentemente dell’unica strategia conosciuta e possibile. Condizione alquanto deleteria, che porterà come è facilmente prevedibile, a vivere giorno dopo giorno serie difficoltà. E come conseguenza ad un serio abbassamento della qualità della vita. Si tratta a volte di un vero e proprio modo di vivere ed affrontare la vita, altre un meccanismo circoscritto a specifici ambiti, ma non per questo meno deleterio e difficile da gestire. Una modalità di funzionamento alquanto subdola, che in genere fa la propria comparsa presto. Ma della quale ci si rende conto tardi in età adulta, in quanto solo negli anni inizia a manifestarsi in tutta la propria natura. A volte non ci si accorge neanche di attuarlo, non si riesce a dare un nome a ciò che accade, e si finiscono per imputare i propri problemi a tutt’altro. Le difficoltà maggiori compaiono purtroppo durante l’età adulta. Proprio nella fase in cui noi individui crescendo, e divenendo maggiormente responsabili di noi stessi, dovremmo essere capaci di agire in maniera finalizzata per ottenere ciò di cui abbiamo necessità. Dovremmo essere capaci di affrontare le difficoltà, ed avere quotidianamente ed in diversi ambiti della vita un atteggiamento attivo e funzionale. L’evitamento purtroppo può divenire un grande problema quando impedisce di fare tutto questo. Non consente infatti all’individuo di essere attivo, di esporsi nel raggiungimento dei propri obiettivi, nel superamento delle difficoltà, di spendersi al meglio nei vari ambiti della propria vita. E lo porta al contrario a vivere letteralmente “la vita in panchina”, non agendo, o mettendolo in condizione di agire al minimo delle proprie potenzialità. Possiamo già da queste poche righe riflettere sulla portata che una condotta simile può avere sulla qualità della vita. Vivere infatti “trascorrendo la vita in panchina”, in attesa che le cose accadano, finirà per non mettere di certo la persona in questione nella condizione di avere una vita gratificante e proficua. Ma al contrario lo porterà a costruire una vita di rimpianti, rinunce ed occasioni mancate, con tutte le conseguenze negative che possiamo immaginare in termini emotivi. Evitamento: quali le cause? Cosa ci spinge ad evitare? Molto spesso alla base di tale condotta c’è l’emozione della paura. C’è l’idea di non essere all’altezza di affrontare una certa situazione, e la vita stessa. E spesso la sopravvalutazione del pericolo connesso a ciò che cerchiamo con tutte le nostre forze di evitare. Si tratta di qualcosa che pensiamo di non poter affrontare, e sul quale appunto proiettiamo tutte le nostre peggiori paure. L’evitamento può riguardare qualsiasi cosa, e diviene un vero problema se utilizzato in dosi massive. In quanto colui che lo attua, purtroppo finisce per “piantare” paletti su paletti (crearsi limiti su limiti) di cui non avrebbe realmente necessità, e tutti assieme in breve tempo si trasformeranno in una vera e propria prigione. Una prigione che nel tempo diviene sempre più difficile da distruggere, e da cui “diviene improponibile evadere”. Evitamento e abbassamento dell’autostima Quali saranno le conseguenze di una tale condotta reiterata nel tempo? Un conseguente e sempre maggiore abbassamento dell’autostima, ed in seguito dell’umore. Come potrebbe sentirsi altrimenti una persona che trascorre “la propria vita in panchina” ad osservare gli altri fare e provare a vivere? Immaginatelo solo per un attimo… Il soggetto evitante possiede già di per sé una bassa autostima. E’ quindi già convinto di non poter fare, di non essere in grado. Il non fare, il non agire, o agire il minimo possibile, il non affrontare le difficoltà, non farà altro che rafforzare tale convinzione. E con il rafforzarsi di tali convinzioni l’umore purtroppo andrà sempre più giù. Uno scoraggiamento destinato quindi ad aumentare. Meno faccio infatti, e meno vorrò fare, e meno potrò credere in me stesso. Un autentico circolo vizioso che andrà spezzato. Disturbo da evitamento come cambiare Superare il disturbo da evitamento non è facile nè immediato, ma certamente possibile, affidandosi ad un terapeuta esperto che possa aiutare a sbrogliare l’intricata matassa sostenuta da tale condotta. E’ possibile infatti un po’ per volta imparare nuove strategie. Bisognerà imparare pian piano a mettere in discussione le convinzioni disfunzionali che hanno sostenuto l’evitamento. Provare ad agire e fare nuove esperienze correttive, che consentano di vedere che possiamo farlo, che siamo capaci. E che nonostante le normali difficoltà che tutti possono incontrare siamo in grado. La guarigione passerà attraverso il fare, che è appunto l’esatto contrario dell’evitare. E si tratterà di un fare lento e costante che rispetti i tempi dell’individuo. Un individuo che deve appunto riabituarsi a fare, a mettersi in gioco, a partecipare davvero alla vita, ad affrontare anche le difficoltà. Un fare passettino per passettino…con meno paletti e più azioni mirate e funzionali, per poter divenire individui completi, e finalmente iniziare a credere di più in se stessi. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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dipendenze patologiche

Dipendenze Patologiche e Comportamenti Compulsivi: Come si Strutturano e Come Uscirne

Oggigiorno il fenomeno delle dipendenze patologiche è molto diffuso, e sta assumendo connotati sempre più importanti. Si tratta infatti di una vera e propria piaga sociale che miete con modalità differenti vittime su vittime. Le dipendenze infatti continuano ad evolversi nel tempo e ad assumere nuovi aspetti, sempre più insidiosi, ed anche al passo con le nuove mode e tecnologie. E se in passato parlare di dipendenze patologiche ci avrebbe fatto pensare prevalentemente ad alcolismo, ed utilizzo di droghe, oggi si aggiungono tante nuove dipendenze dette comportamentali, che vanno a coinvolgere un’altra buona fetta di popolazione. Si tratta di dipendenze che non prevedono solo l’utilizzo di una sostanza. Ma anche di comportamenti che agiti nell’ottica di un contenimento possono essere considerati nella norma, oppure ludici e ricreativi, ma se portati allo stremo si trasformano in un pesante fardello da gestire. Le dipendenze patologiche più diffuse Il gioco compulsivo (ludopatia) è certamente una delle dipendenze più diffuse. In tutte le sue forme: slot, gratta e vinci, scommesse sportive, ecc. Ad essere sotto accusa oggi sono anche tutte quelle dipendenze che coinvolgono le nuove tecnologie (videogiochi, internet, gambling da video, videopoker). Riflettiamo un attimo … Anche se queste nuove tecnologie hanno aperto possibilità non pensabili fino a qualche tempo fa, hanno certamente reso più vulnerabili coloro che presentano uno scarso controllo degli impulsi. Tutti noi possediamo un cellulare, un computer, e mentre prima avremmo dovuto decidere di uscire per poter attuare un qualche comportamento. Ora abbiamo la possibilità di farlo comodamente da casa, quando vogliamo e tutto il tempo che vogliamo, senza che nulla che possa agire da vero deterrente. Ma una dipendenza oltre a coinvolgere un certo comportamento può riguardare anche una relazione, e possiamo divenire dipendenti rispetto a qualcuno o rispetto all’idea di stare necessariamente con qualcuno. Avere una dipendenza patologica significa sviluppare un comportamento compulsivo e non poter fare altrimenti. Essere in qualche modo costretto a fare una determinata cosa anche se sento che non la voglio o non mi fa stare bene. Ed in quest’ottica possiamo inserire anche il problema della dermatillomania (so che mi faccio male ma non posso farne a meno). Insomma sono molteplici le facce della dipendenza e molteplici le strade attraverso le quali possiamo nel corso della vita arrivare a svilupparne una. Come si inizia a soffrire di una dipendenza patologica La prima cosa importante da sottolineare è che potrebbe capitare a chiunque di noi. Nessuno ne è veramente immune ed è facile iniziare, in quanto ogni dipendenza patologica comincia sempre da uno stesso punto, dalla ricerca del piacere. E tutti noi lo ricerchiamo, solo che colui che soffre di una qualche dipendenza finisce per cercarlo in qualcosa di malato. Partendo dal presupposto che tutti noi ricerchiamo il piacere, ne consegue anche che possiamo inventarci svariati modi per procurarcelo. La ripetizione poi fa il resto, e fa si che un comportamento sporadico e all’inizio effettivamente positivo, si trasformi in qualcosa di cui non possiamo fare più a meno e quindi in fonte di dolore. Paradossalmente proprio quella stessa cosa che avevamo ricercato all’inizio per provare piacere e che inizialmente riusciva a darcene, diviene essa stessa fonte di malessere. Chiunque di noi in seguito a particolari eventi della propria vita o in particolari condizioni emotive può iniziare. Infatti è proprio in momenti particolari della nostra esistenza che possiamo ricercare ed “inventarci” qualche modo per provare a stare bene. Il problema di tutto ciò è che il benessere dura poco, per trasformarsi in breve tempo in dolore e necessità impellente. I motivi possono essere molteplici e possono essere compresi solo all’interno della specifica storia dell’individuo, in quanto ognuno ne ha di propri. Alla base potrebbe esserci una non gestione delle emozioni, una scarsità di stimoli, un non riuscire a gestire le cose in altro modo, un modo per rilassarsi e dissociarsi da altro di cui non vogliamo o non riusciamo ad occuparci adeguatamente. Come uscire dalle dipendenze patologiche Non ci sono scorciatoie e consigli che possano risolvere automaticamente il problema. Il primo passo per uscire dalle dipendenze patologiche e liberarsi da una compulsione, è la comprensione. Occorre comprendere perché abbiamo iniziato e cosa ci mancava allora o ci sta mancando oggi. Occorre mettere a fuoco quali bisogni stiamo cercando di soddisfare attraverso tale comportamento disfunzionale, per poter poi trovare un modo più sano. Occorrerà inoltre un pò per volta spezzare il meccanismo di ripetizione. Perché è la ripetizione stessa a sostenere e rafforzare il problema, mentre allentare può pian piano far perdere forza al comportamento disfunzionale che stiamo mettendo in atto. Non è affatto infrequente inoltre che colui che sviluppa una qualche dipendenza con conseguenti compulsioni, abbia anche difficoltà relazionali. Dovremmo infatti innanzitutto tramite le relazioni e la condivisione ricercare il benessere. Ma se questo aspetto non funziona, è molto probabile che tenteremo di inventarci qualcosa o qualche modo per stare bene anche se relativamente in solitudine. Nella dipendenza affettiva al contrario la presenza dell’altro è impellente e necessaria. Ma come ben sappiamo tutto ciò che viene portato all’eccesso smette di funzionare. Da tutto ciò è possibile uscire affidandosi ad un professionista, che possa aiutare a comprendere e gestire il problema nelle sue molteplici sfaccettature. Capire innanzitutto, perché un sintomo ha sempre un suo significato e comprendere questo significa trovare la chiave verso la soluzione. Questa sarà la strada, non breve, ma comunque possibile verso un rinnovato benessere. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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profezia che si autoavvera

La Profezia che si autoavvera: cos’è e come gestirla

Tutti noi sulla base delle precedenti esperienze e di ciò che ci è stato insegnato, ci portiamo dietro un bagaglio di convinzioni così ben radicato, tanto da influire su tutti i nostri successivi comportamenti. Tali convinzioni possono essere positive o negative. Ed avranno un peso davvero molto importante sul nostro modo di leggere noi stessi, gli altri e le situazioni. Ne siamo convinti, ci crediamo davvero, e questo accade perché tale bagaglio è stato l’unico riferimento che abbiamo avuto per anni, e a volte per una vita intera. Quindi naturalmente non percepiamo e non sappiamo fare altro. E finiamo per ripetere ad oltranza ciò che conosciamo, causandoci spesso grandi difficoltà. Si tratta di una sorta di credito non riscosso di cui cerchiamo di rientrare, ma in modo disfunzionale purtroppo, continuando a perpetuare il dolore e non arrivando mai alla soluzione del dilemma. Quali sono tali convinzioni disfunzionali? Ad esempio non ce la faccio, non sono capace, non sono abbastanza, la vita continuerà sempre ad andare male…. Tali parole a volte ce le hanno ripetute più volte e così abbiamo finito col farle nostre. Le abbiamo incamerate come parte della nostra identità. Un vestito cucito addosso da altri, che indossiamo e continuiamo a portare con noi per tutta la vita. Altre volte tali convinzioni le abbiamo estrapolate a partire da situazioni di vita spiacevoli, che ci hanno portato a convincerci del fatto che per noi non potrà mai esserci nulla di positivo. Delle vere e proprie profezie che si autoavverano purtroppo. Perché noi individui nel bene e nel male cerchiamo in ogni modo di confermare le nostre idee. Siamo purtroppo ripetitivi, e vogliamo avere ragione anche quando sarebbe preferibile non averne! E lo facciamo perpetuando atteggiamenti, e comportamenti che finiscono col portare inevitabilmente alla medesima e conosciuta conclusione. Spesso lo facciamo senza rendercene conto, ma siamo proprio noi con il nostro modo di leggere il mondo, con la nostra cecità autoindotta, e con le nostre azioni, a far si che esiti dolorosi possano ripresentarsi. Profezie che si autoavverano: alcuni esempi Una persona a cui è stato ripetutamente detto di non essere capace svilupperà una bassa autostima, e finirà col convincersi di avere ben poche capacità. E come pensiamo potrà comportarsi? Continuerà molto probabilmente a condurre una vita e ad agire ben al di sotto delle proprie potenzialità, finendo per confermare a se stessa le sue scarse capacità. Avrà paura di non riuscire e per questo difficilmente deciderà di mettersi in gioco, piuttosto tenderà ad evitare. Aspetto che contribuirà a far chiudere il cerchio nel solito modo. Una persona convinta di valere poco molto probabilmente continuerà a scegliere relazioni poco sane, che le confermano il suo scarso valore. Persone ben poco disponibili e ben poco disposte ad entrare davvero in una relazione amicale o amorosa. Anche in questo caso è la persona stessa a contribuire a tale conclusione, accontentandosi e non dandosi il giusto valore. Una persona convinta del fatto che per lei non ci sarà mai nulla di buono, purtroppo molto probabilmente finirà per fare scelte o assumere comportamenti disfunzionali, che la porteranno realmente ad avere poco. Una persona che ha ricevuto poche cure ed è cresciuta quindi sentendosi quasi invisibile, molto probabilmente tenderà a sua volta ad avere poca cura di sé. E a scegliere partner poco disponibili che potranno solo confermare la sua percezione di invisibilità. E anche in questo modo il cerchio si chiuderà in modo disfunzionale. Profezia che si autoavvera: quale possibile soluzione In tutte queste situazioni un aspetto fondamentale è che noi abbiamo la nostra buona dose di responsabilità. E comprendere questo è un punto davvero focale per poter trovare qualsiasi soluzione. Non possiamo infatti utilizzare schemi appresi come alibi, allo scopo di continuare a stazionare nella medesima situazione, ma occorre piuttosto che ci assumiamo la responsabilità della nostra felicità e del nostro cambiamento. Noi con le nostre scelte o non scelte, con le nostre azioni o non azioni, contribuiamo molto al mantenimento di determinati circuiti disfunzionali. E comprendere l’entità della nostra responsabilità è davvero necessario. Tutto ciò non arriva per puro caso, e non è sempre colpa degli altri, noi scegliamo e agiamo anche in modo che tutto ciò possa reiterarsi. E fintanto che saremo convinti del contrario potremo risolvere ben poco. Se infatti non “ci mettessimo anche del nostro” questi eventi non potrebbero continuare a ripetersi. Le convinzioni e ciò che abbiamo appreso vanno compresi e messi in discussione. Anche se non è facile. Perché certamente all’inizio non lo sarà. Ma ciò che abbiamo appreso e che certamente oggi non risulta essere più molto utile, va rivisto ed affrontato se vogliamo ottenere risultati differenti. È possibile ed è la strada per migliorare. L’altra è continuare a ripetere e confermare ciò che è stato con tutto il dolore che inevitabilmente ne conseguirà. Non siamo solo un foglio già scritto, e anche se in parte è vero possiamo provare a riscriverlo, in qualsiasi momento e se davvero lo vogliamo, e possono cambiare molte cose. Possiamo rivedere certe convinzioni ed avere una vita e delle relazioni di qualità, ma occorre che cambiamo noi, che siamo disposti a metterci in discussione, perché su di noi se lo vogliamo possiamo fare davvero molto. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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costruzione

Cos’è la costruzione? Un meccanismo tra immaginazione e realtà

Cos’è la costruzione? La costruzione, un meccanismo molto diffuso e che tutti noi tendiamo ad utilizzare ogni giorno. Ma alcuni più di altri, tanto da divenire pervasivo e ben poco funzionale. Immaginazione e realtà… Noi individui viviamo questa costante diatriba interna. Sempre alla ricerca di un equilibrio tra ciò che viviamo nel concreto (ciò che sto vivendo e facendo in questo esatto momento), e ciò che immaginiamo (ciò che sto solo pensando, e potrò fare o essere tra un po’, e quindi letteralmente “costruisco” con la mente). Noi individui essendo esseri molto mentali siamo veri maestri nella costruzione. E possiamo costruire in negativo oppure in positivo, con risultati ben diversi in termini di qualità della vita. C’è da dire che per alcune persone il costruire in negativo può divenire un meccanismo fuori controllo, che non consente di funzionare in altro modo se non in questo. Quando parliamo di costruzione occorre distinguere due aspetti, uno funzionale e uno che lo è molto meno: Costruzione come progettazione Costruzione come allontanamento dalla realtà vera, e di realtà negative e catastrofiche che non esistono Costruzione e progettazione Tutti i giorni ed in ogni momento della giornata noi individui costruiamo. In termini funzionali costruire significa progettare. Pensare a cosa farò tra 5 minuti, 2 ore, domani, tra un mese, tra qualche anno. Chi di noi non ha progettato nella propria mente l’attività che farà tra qualche minuto, tra qualche mese, le proprie vacanze, quello che farà nel week end? Chi di noi non ha costruito nella propria mente progetti importanti come un matrimonio, un figlio, il raggiungimento del lavoro dei propri sogni, una casa… e così via. In tutte queste situazioni costruiamo, perché mentre siamo nel qui ed ora stiamo pensando al raggiungimento di tutte queste cose, ma ancora non le abbiamo, non ci sono nella realtà. Con la mente andiamo avanti e pensiamo a cosa otterremo tra un certo arco di tempo, cosa staremo facendo, con chi saremo, come staranno andando queste situazioni, ma non le stiamo davvero vivendo. In tutto ciò non c’è nulla di strano, anzi si tratta di un meccanismo molto utile che se non ci fosse ci creerebbe non poche difficoltà. Proviamo solo per un attimo a ragionare su questo aspetto. Se non fossimo forniti di questa capacità infatti non potremmo progettare nulla, ci comporteremmo a caso, non avremmo obiettivi, non potremmo neanche di conseguenza trovare la giusta motivazione per iniziare qualcosa di nuovo. La capacità di vedere con la mente cosa vogliamo fare, dove vogliamo essere, con chi, avendo quali risultati. Ci da infatti la giusta spinta ad impegnarci in vista di altro, per creare e realizzare qualcosa di nuovo. Costruzione e patologia Ma come tutte le cose ciò che viene portato all’eccesso smette di funzionare, e finisce per crearci molti più svantaggi che vantaggi. Quindi quando la costruzione diviene patologia? Quando non usiamo più questa facoltà per pensare e progettare, ma per allontanarci dalla realtà finendo per confondere ciò che è reale da ciò che è fantasia. Quando tendiamo a costruire nella nostra mente solo l’idea di come qualcosa potrebbe essere, senza averlo veramente vissuto o provato. Ed ebbene si tutte le paure sono sostenute proprio da questo meccanismo, dalla costruzione. Con la nostra mente infatti possiamo letteralmente costruire ogni cosa, possiamo costruire convinzioni e paure su paure. E Possiamo costruirle dove non ci sono, anche in situazioni che in realtà non hanno nulla di pericoloso, e non c’è limite. La costruzione si verifica quando parto da un minimo dato e ci costruisco sopra molto di più. Ad esempio in questo momento sento ansia quindi vuol dire che sta accadendo qualcosa di tremendo. Farò una determinata cosa e andrà in un certo modo… Se inizio ad esempio a pensare che allontanarmi di casa sia pericoloso ed inizio ad evitare situazioni su situazioni a meno che io non sia accompagnata, un pensiero iniziale si trasformerà un po’ alla volta in una convinzione sempre più radicata, e difficile da rivedere e modificare. Pensiamo a coloro che mettono in atto continui evitamenti perché letteralmente nella propria mente costruiscono pericoli su pericoli, presunti limiti, e difficoltà che impedirebbero la riuscita. A coloro che soffrono di attacchi di panico, una difficoltà nella quale la costruzione è un meccanismo che consente di mantenerne il doloroso circolo vizioso. Per alcuni di noi questi meccanismi assumono un aspetto talmente pervasivo da prendere il sopravvento. Portando l’individuo a smettere di funzionare in modo adeguato con tutto ciò che ne consegue. Costruire diviene nel tempo un vero e proprio vizio. E la cosa peggiore è che colui che lo pratica finisce per percepirlo come un meccanismo così normale, tanto da non accorgersene. Costruzione come problema, quale possibile soluzione La soluzione sarà un po’ alla volta riabituarsi a tornare ad avere un buon contatto con la realtà. Ricominciare a distinguere ciò che è vero (sta accadendo, presenza di dati oggettivi) da ciò che non lo è (non sta accadendo, lo sto pensando, immaginando, non ci sono dati oggettivi). E sarà necessario reimpararlo. Perché è proprio questo il problema, la persona che costruisce in modo patologico non riesce più a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. E sente come reale e tangibile ciò che non lo è affatto. Occorrerà riabituarsi a godere della realtà e a viverla un passo per volta davvero. Magari mettendosi nella condizione quando è possibile di andare a vedere, a provare, in modo da poter percepire come stanno davvero le cose. L’evitamento infatti sostiene la costruzione. Se non vedo, se non provo non potrò come conseguenza fare altro che rimanere nella mia posizione disfunzionale. Il non confrontarsi può sostenere la costruzione. Se non mi confronto avrò a disposizione solo le solite informazioni, e resterò fermo nella mia posizione, vedrò solo quello che voglio vedere. Un meccanismo non positivo e certamente poco funzionale. Andrà ricostruito il corretto equilibrio tra realtà e fantasia, e la capacità di mettere in atto come conseguenza le azioni più adeguate. Un professionista può in tal senso

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amore non corrisposto

Amore Non Corrisposto: Come Guarire Quando l’Amore è a Senso Unico

L’amore è quel profondo sentimento che lega due cuori l’uno all’altra. Un sentimento che presuppone quindi la partecipazione di due anime che si incontrano, si amano, e decidono di comune accordo di intraprendere un cammino congiunto. Ma non sempre è così. Amore non corrisposto: il dolore di innamorarsi in solitudine A volte ci si innamora non essendo ricambiati. E in questa situazione riversiamo tutte le nostre energie sul nostro oggetto d’amore, ma a senso unico. Vivere un amore non corrisposto significa vivere una storia dove dall’altra parte non c’è qualcuno che ricambia, e che da un senso al nostro sentimento. Una condizione che porta a fare l’esperienza del rifiuto, e a provare di conseguenza un profondo senso di vuoto e sofferenza. A molti di noi sarà capitato e in questo non c’è nulla di strano. Ma può divenire sentore di qualcosa che non funziona, quando si trasforma in una vera e propria fissazione. Quando nonostante la realtà non accettiamo che il nostro sentimento non sia ricambiato, quando non riusciamo a tornare ad investire su di noi e sulla nostra vita. Quando innamorarsi senza essere corrisposti non è un episodio isolato, ma una situazione che tende a reiterarsi. Se vivere un  amore non corrisposto può capitare a chiunque, occorre fermarsi e comprendere cosa sta accadendo, quando tendiamo ad essere recidivi nel ripetere questo copione. In questo caso possono esserci alla base delle difficoltà di cui occorre occuparsi. Potrebbe esserci: Amore non ricambiato: le varie forme Possiamo vivere un amore non ricambiato in molti modi: innamorandoci di chi non ricambia il nostro sentimento, continuando ad innamorarci di persone non libere, o non propense a vivere il rapporto con lo stesso trasporto e partecipazione che vorremmo. Possiamo aver vissuto questa esperienza durante l’adolescenza oppure in età adulta.  E la nostra maturità, un senso di stabilità personale, e la presenza di ulteriori risorse relazionali, possono aver fatto la differenza su come tale momento è stato superato. In condizioni di bassa autostima, sfiducia, e solitudine, tale situazione potrebbe condurre a sviluppare dei veri e propri vissuti depressivi. Amore non corrisposto: come superare il dolore Se si tratta di una condizione unica può accadere, e per uscirne dovremo un pò alla volta ripartire da noi e ricominciare a costruire la nostra vita. Ricominciare a vivere e coltivare la nostra individualità, i nostri bisogni, le nostre relazioni, ed interessi. Ricominciare a vederci come soggetti singoli con tutto quello che ne consegue. Provando a non chiuderci, e facendo leva su tutte le risorse individuali e relazionali a nostra disposizione. Tutto ciò un pò alla volta ci porterà ad accettare l’accaduto, e a superarlo. Situazione ben diversa sarà quella in cui vivere un amore non corrisposto diviene un copione deleterio che tende a ripetersi. In alcuni casi ci sarà la necessità di lavorare sulla nostra autostima, per arrivare a riconoscere il nostro valore. E che meritiamo di vivere una storia di qualità, dove ci siano scambio e partecipazione da ambedue le parti. A volte occorrerà imparare a costruire relazioni vere e reali. Aspetto non affatto scontato. In quanto molti di noi purtroppo costruiscono storie stando poco nella realtà, facendosi trasportare solo dalle emozioni del momento, ma non avendo la minima idea di chi c’è dall’altra parte. Che caratteristiche ha e se c’è qualcosa di concreto, e su cui vale davvero la pena fare un investimento affettivo. A volte ci troviamo a vivere un amore non corrisposto perché cerchiamo invano di rientrare di crediti non riscossi, ma lo facciamo in modo tale da rafforzare la nostra mancanza. Se ciò che abbiamo vissuto è la mancanza d’affetto, potremo avere la tendenza a scegliere persone che non ci vogliono, che non possono darci quello che tanto vorremmo. Perché in fondo è ciò che conosciamo e a cui siamo abituati, e non sappiamo com’è essere corrisposti e stare in una storia reale. In questo modo continuiamo a reiterare la stessa mancanza. Quindi occorrerà rafforzare la nostra autostima, riscoprire il nostro valore, imparare a costruire un rapporto reale e che possa davvero darci qualità e amore in cambio. Occorrerà esplorare perché la fuori le persone non sono tutte uguali. E se ce ne sono alcune che non fanno per noi, ce ne sono altre che invece potrebbero darci molto, dobbiamo solo darci la possibilità di conoscerle e farle entrare nella nostra vita. Cosa che difficilmente potrà accadere fintanto che rimaniamo fossilizzati su ciò che non funziona. Non abituiamoci alle briciole, non adattiamoci ad un amore non corrisposto, con l’idea che non possa esserci dell’altro, perché possiamo avere molto di più. Ma dipende soprattutto da noi, dalle nostre scelte, dalle nostre azioni, e da quanto crediamo di meritare. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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gestire le emozioni negative

Gestire Le Emozioni Negative: Come Farlo in Modo Efficace

Ogni giorno proviamo molteplici emozioni, e a volte sono piacevoli mentre altre lo sono meno. Le emozioni cosiddette negative assieme a quelle positive, sono parte integrante del nostro mondo emotivo, e non possiamo pensare di cancellarle. Ma è molto utile invece familiarizzare con l’idea che è possibile gestire le emozioni negative. Che è possibile apprendendo le giuste tecniche, imparare a gestire le emozioni. Che possiamo imparare a conviverci, in modo che non prendano il sopravvento e non abbiano il controllo sulla nostra vita. Imparare a gestire le emozioni negative: un progetto attuabile in pochi passi Le nostre emozioni non sopraggiungono mai a caso, anche quando sembrano esserci senza un apparente motivo, un motivo c’è sempre. Perché le nostre emozioni sono collegate alla nostra vita e al suo andamento, alle situazioni che ogni giorno siamo chiamati a gestire, alle relazioni che intessiamo, alla qualità della vita stessa. Le emozioni veicolano sempre un messaggio, e sta a noi decifrarlo e fare ciò che serve. Quindi il primo passo per poter controllare le emozioni è porre attenzione agli eventi della nostra vita, e a quali emozioni e vissuti ne scaturiscono. L’emozione va quindi compresa e per poterlo fare occorre contestualizzarla. Occorre comprendere perché mi sento in un determinato modo, cosa sto vivendo, o cosa ho vissuto, o cosa dovrà accadere. Associare l’emozione al contesto dalla quale scaturisce, mi consente di fare il passo successivo per poter gestire le emozioni negative in modo funzionale. Capire nella particolare situazione come mi sto comportando, e se e quali altre alternative ho a disposizione. Rimanere all’oscuro di tutti questi aspetti non ci consente spesso né di comprendere ciò che proviamo, né tanto meno come conseguenza di poter gestire al meglio ciò che stiamo vivendo, e quindi di gestire le emozioni negative. Come controllare le emozioni in modo funzionale Occorre accettare il fatto che nell’arco della nostra vita più volte ci troveremo a fare i conti con la gestione di emozioni poco piacevoli. E che per uscirne vincenti sarà importante farlo in modo funzionale. Un modo funzionale come abbiamo visto poco sopra, consiste innanzitutto nel capire e nel dare un contesto alle emozioni. Perché solo una volta messa a fuoco la situazione, e ciò che proviamo, possiamo cercare di approfondire e vedere tutte le possibilità che abbiamo. È molto utile e funzionale oltre a valutare e concentrarsi sul problema, spostare la propria attenzione sul problem solving, e cioè cosa si può fare per affrontare la situazione in atto. Un modo funzionale di gestire le emozioni negative è anche quello di accettarle come parte di noi. E comprendere che se non le “gonfiamo”, ma anzi capiamo cosa hanno da dirci e le affrontiamo adeguatamente, facendo azioni giuste, non possono farci nulla né condizionarci. Un altro ottimo modo per controllare le emozioni negative, è condividerle. Perché è molto più facile modulare ciò che sentiamo insieme a qualcuno, piuttosto che da soli. Non dimentichiamo che le emozioni negative condivise diminuiscono, mentre quelle positive condivise aumentano. Come controllare le emozioni in modo disfunzionale Alcuni di noi  purtroppo pur avendo come scopo quello di gestire le emozioni negative, utilizzano in realtà modalità disfunzionali. Una delle modalità più deleterie e che porterà a sicura sofferenza, è la volontaria soppressione delle emozioni. Rinnegarle, far finta di non provarle, dire che va tutto bene anche se sappiamo non essere così, non potrà portare ad alcuna soluzione. Anche l’evitamento di situazioni, il cercare di sfuggire da ciò che andrebbe fatto è una modalità disfunzionale che non potrà dare buoni frutti. E che non porterà certamente a risolvere le difficoltà che stiamo vivendo. E siamo sempre nella stessa direzione quando la nostra attività prevalente è colpevolizzare gli altri per le nostre emozioni. Perché le emozioni ci appartengono, quindi è nostra responsabilità, spetta a noi occuparcene, e prendere decisioni. Se il mio malessere è ad esempio legato ad un rapporto che non funziona, sarà poco utile continuare ad insistere affinché sia l’altro a cambiare, e quindi scaricare il mio malessere fuori. L’altro innanzitutto cambia solo se vuole cambiare. E il mio malessere appartiene a me, e sta a me valutare come gestire in modo differente il rapporto alla luce delle difficoltà presenti. Solo in questo modo la situazione potrà cambiare e il mio malessere risolversi. Anche il rimuginare è una vera e propria abitudine non funzionale, finalizzata a controllare le emozioni. Una strategia che anziché aiutare spesso porta a rimanere bloccati, perché non presuppone alcuna reale soluzione. In conclusione vorrei dire che le emozioni non ci controllano e non possono condizionarci, a meno che non siamo noi a consentirglielo. E possono momentaneamente farlo solo se scegliamo strategie sbagliate. È possibile quindi imparare a gestire le emozioni, proviamo a farlo ogni giorno utilizzando strategie funzionali. Che ci consentano di comprendere, di aprirci a più possibilità, a soluzioni pratiche, all’altro, e all’accettazione. Solo in questo modo potremo vivere le emozioni, anche quelle poco piacevoli, come delle alleate e portatrici di messaggi da comprendere e gestire. E non solo come nemiche da allontanare ad ogni costo. E non dimentichiamo che le emozioni sono parte di noi, che sono loro ad indicarci la strada, ed allontanarle equivale a cancellare parte della nostra essenza. Qualsiasi tentativo di soppressione è così destinato al fallimento. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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Come smettere di rimuginare

Come Smettere di Rimuginare e Gestire le Preoccupazioni: 5 suggerimenti pratici

Come smettere di rimuginare? A chi di noi non è mai capitato di avere delle preoccupazioni, e di spendere una gran quantità di tempo ed energia nel pensarci? Di arrivare a volte al punto di perderne il controllo, e di non riuscire di conseguenza a dormire o portare avanti le normali attività quotidiane? In queste situazioni prende il sopravvento una tendenza molto diffusa quanto deleteria, il rimuginare.  Un tipo di pensiero afinalistico e ripetitivo, che non consente di giungere ad alcuna soluzione. Ma che al contrario finisce col bloccarci e creare ulteriore malessere. Perché il rimuginare solo apparentemente da la sensazione di fare qualcosa di utile, allo scopo di risolvere il problema che ci assilla. Ma in realtà non è così. Rimuginare non solo non consente di risolvere il problema, ma favorisce la comparsa di ulteriori pensieri e ricordi negativi. Insomma ci porta a sprofondare sempre più nella negatività, e a rimanere intrappolati nei grovigli dei nostri pensieri. Come gestire le preoccupazioni e la tendenza a rimuginare? Rimuginare non è azione e ciò di cui abbiamo bisogno per uscire da questo circolo vizioso è agire. Spostarci da una dimensione solo mentale verso una più pratica e concreta, perché è qui che possiamo trovare vere soluzioni. Fintanto che rimaniamo nell’ambito dei pensieri non c’è limite a ciò che possiamo pensare e letteralmente costruire. Scenari negativi e terrificanti, che non ci aiutano di certo nè a star bene, nè a sentirci efficaci,  nè ad uscire dal problema. Sono molte le cose che possiamo fare per spostarci in una nuova e più idonea dimensione. Come smettere di rimuginare e gestire le preoccupazioni: 5 suggerimenti utili Una delle cose più utili da fare per smettere di rimuginare, è spostare la nostra attenzione dalla testa e quindi dai pensieri, a ciò che possiamo percepire con i nostri sensi. E quindi fare delle azioni che li coinvolgano. I nostri sensi sono: la vista, l’udito, il gusto, il tatto, l’olfatto. Quante e quali cose possiamo fare utilizzando i nostri sensi? Ad esempio con la vista posso leggere un libro, guardare un film, uscire fuori ed osservare la natura, la città, notare ciò che mi circonda. Con l’udito posso ascoltare della musica, un concerto, i rumori della mia casa, i rumori esterni. Con l’olfatto posso sentire i profumi. Con il gusto assaporare un cibo che mi piace molto. Per ciò che concerne il tatto posso ad esempio fare un bagno caldo, dei massaggi, fare e ricevere carezze. Portare maggiormente la nostra attenzione su ciò che possiamo fare con i nostri sensi, allontana dai pensieri e porta a stare più a contatto con la realtà Praticare del rilassamento, è anch’esso molto utile a distendere le tensioni causate da un intenso rimuginio, e aiuta recuperare energia. Consente anche di essere maggiormente a contatto con il nostro corpo e meno con i pensieri Guardare la situazione in modo più ampio. Occorre fermarsi e guardare la situazione a 360 gradi. Magari facendoci aiutare da qualcun altro. Da soli a volte può essere difficile avere la giusta obiettività. Invece attingere alle nostre risorse relazionali può essere utile, per vagliare altri aspetti a cui non avevamo pensato Anche in questo modo possiamo allontanarci dai nostri pensieri, ed entrare un una dimensione relazionale Focalizzarci sulla soluzione e su come fare per arrivarci. Spesso rimaniamo bloccati in quanto ci focalizziamo sul problema ma non sulla soluzione. Dovremmo invece provare a guardare anche quest’aspetto. Tutte le possibili soluzioni, quali aspetti le compongono, quali obiettivi porci, e come portarli avanti per step consecutivi. Queste sono azioni, quindi più utili rispetto al solo rimuginare Quando ci accorgiamo di rimuginare possiamo anche darci uno stop e rimandare ad un altro momento. In questo modo con un po’ di allenamento non ci lasceremo condizionare troppo dai nostri pensieri. E magari possiamo anche stabilire un tempo da dedicare al rimuginare, per poi tornare a fare altro. Tutto ciò che può allontanarci dal solo pensiero e dalle sue costruzioni, può essere molto efficace. Come smettere di rimuginare e gestire il pensiero in modo diverso Pensare è utile ma appoggiarsi solo al pensiero, vivere tutto in questa dimensione, ed escludere il resto rischia di imprigionarci. È quindi moto utile gestirlo in modo diverso, con un pò di allenamento possiamo riuscirci. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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paura del giudizio degli altri

Paura del Giudizio degli Altri: Come Affrontarla

Paura del giudizio degli altri? Può capitare di essere influenzati da un giudizio esterno, d’altronde tutti noi viviamo in un contesto sociale, ed abbiamo bisogno di relazionarci ed essere a contatto con dei nostri simili. Tutti noi comprensibilmente preferiamo piacere ed essere valutati positivamente, nessuno preferisce l’esatto contrario. D’altronde avere delle buone relazioni sociali, essere accettati e stimati, sono dei nostri bisogni fondamentali. Ma per alcuni di noi il giudizio dell’altro diviene davvero importante. Ci troviamo di fronte ad un problema, quando non si tratta più solo di una preferenza, ma abbiamo la necessita impellente ed irrinunciabile di piacere ed essere accettati. E quando cerchiamo di ottenerlo in ogni modo, e questo finisce per condizionare il nostro comportamento e la nostra vita. Quali aspetti rendono più vulnerabili al giudizio altrui? La bassa autostima è un fattore strettamente legato al timore del giudizio. Più ci sono problemi di autostima alla base, maggiore sarà il bisogno di ottenere ad ogni costo un riscontro positivo dall’esterno. In questo modo potrò dire a me stesso che sono una persona di valore. Ma si tratta di un’ illusione. Il valore di una persona e la sua sicurezza, non dipendono dall’esterno, ma solo dalla persona stessa. Questa ricerca verso l’esterno, porterà puntualmente ad avere un pressante bisogno di ricevere conferme positive dall’altro, senza poter mai ottenere quel senso di sicurezza che in realtà stiamo cercando. L’unico modo per trovarla è cercala dentro di sé! Cercarla al di fuori è un tentativo destinato purtroppo al fallimento. Aver avuto dei genitori ipercritici può favorire il timore del giudizio. Se infatti ho subito molte critiche, svilupperò una sensibilità particolare verso di esse. E cercherò di evitarle in ogni modo, aspettandomi un po’ troppo da me e dalle mie performance. Non potrò permettermi di sbagliare! Occorre andare sempre a vedere il caso specifico, le motivazioni possono essere molteplici. Un buon colloquio clinico consentirà di rintracciare i motivi, come tale condizione si è strutturata e sta condizionando la vita dell’individuo. Ma è proprio vero che gli altri sono sempre pronti a giudicare ogni nostro passo? Nella maggior parte dei casi non è così! Spesso siamo noi a pensarlo, siamo noi a credere che gli altri siano sempre pronti a criticarci per ogni nostra piccola mancanza. Diciamo che a volte spostiamo all’ esterno quella che in realtà è una nostra paura. Se temo che qualcuno possa giudicarmi ed è importante soprattutto che lo faccia positivamente, vedrò possibili pericoli ovunque. E questo condizionerà il mio comportamento e mi porterà a vivere con molta ansia le situazioni sociali, perché non potrò rischiare di commettere errori! A volte viene ad instaurarsi una vera e propria fobia del giudizio. Un timore molto forte dell’altro, del confronto, e dell’esposizione alle situazioni sociali (parlare in pubblico, mangiare in compagnia, scrivere davanti a qualcun altro, parlare con persone che non si conoscono, esprimere la propria opinione, ecc.). Si può arrivare a temere anche situazioni del tutto normali, per timore di esporsi in qualche modo ad un giudizio esterno. La paura del giudizio degli altri, è una situazione che può condizionare molto la vita! In particolar modo se il nostro lavoro, le nostre aspirazioni, le situazioni che quotidianamente ci troviamo ad affrontare, ci richiedono di gestire mansioni dove siamo a contatto e quindi sotto “l’occhio attento” dell’altro: Dover parlare in pubblico. Dover esprimere le nostre opinioni davanti ad altre persone Lavorare ed interagire con qualcuno, avendo la necessità di dimostrare le nostre abilità Anche coloro che non si trovano a dover affrontare queste situazioni ogni giorno ed in modo così plateale, sentono comunque il peso di questo timore. E anche se in modo diverso non ne sono meno condizionati. Tramite una buona psicoterapia, affidandosi ad un professionista preparato, è possibile affrontare e risolvere la paura del giudizio degli altri. È possibile acquisire una buona autostima, maggiore sicurezza in sé, del proprio valore personale e nelle proprie potenzialità. Tutto ciò va cercato nella nostra interiorità! Fintanto che ci si ostina a cercarlo in un altro individuo, nell’idea che ha di noi, vivremo situazioni deludenti e non risolutive. La paura del giudizio degli altri, 3 utili spunti di riflessione: Un aspetto importante da focalizzare, è che sei tu il primo a giudicarti! E in questo caso non positivamente. Il tuo giudizio negativo, può farti molto più male di qualsiasi altro giudizio che provenga dall’esterno. Inizia tu per primo ad essere più comprensivo verso te stesso, a non aspettarti la perfezione perché tutti sbagliamo e anche questo serve per imparare. Di conseguenza vedrai cambiare anche il resto. Non siamo così importanti da essere al centro dei pensieri e degli interessi dell’altro! Questo ha certamente molte altre cose a cui pensare, che riguardano: la sua vita, i suoi problemi, i suoi interessi, e non è lì sempre pronto ad osservare e criticare tutto quello che facciamo. A volte ci costruiamo una chiara idea di cosa pensa un determinato individuo, ma non siamo nella sua testa e in realtà non sappiamo quali sono i suoi pensieri. Si tratta solo di una nostra opinione, che potrebbe corrispondere o meno alla realtà Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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Attacchi di Panico: Cosa Sono e Come Affrontarli Efficacemente

Gli attacchi di panico sono un problema psicologico molto diffuso. Vengono descritti da chi li ha vissuti come un’esperienza spaventosa, come qualcosa d’improvviso, inaspettato, e apparentemente immotivato. Attacchi di panico sintomi Cos’è l’attacco di panico? Questo non è altro che ansia, uno stato di ansia molto forte che si accompagna ad una sintomatologia specifica: (confusione, stordimento, offuscamento della vista, vertigini, pelle d’oca, respiro affannoso, tachicardia, dolore al petto, formicolii, vampate di calore, nausea, tensione muscolare, ecc.).  E cosa sono questi sintomi? Sono gli effetti dell’iper-lavoro, che il corpo si trova a fare per gestire  questo stato di forte ansia. Infatti energie che prima venivano utilizzate per gestire le varie funzioni vitali (respiro, digestione, battito cardiaco, ecc.), ora vengono messe a disposizione per fronteggiare una situazione di pericolo. Perché il corpo percepisce l’ansia proprio così, e si pone in modo da affrontare lo stato di emergenza. Ed è la poca conoscenza di ciò che accade, l’essere colti di sorpresa, e non sapere come gestire la situazione a fare il resto. E a scatenare paure ed associazioni negative legate all’evento, e il timore che possa ripresentarsi un nuovo attacco di panico. A questo punto in breve tempo  può instaurarsi un vero e proprio circolo vizioso. Più sono in ansia al pensiero di poter avere un nuovo attacco di panico, più sarà probabile che questo possa avvenire. Perché la mia attenzione sarà focalizzata su questa possibilità. Ed utilizzare tutta questa attenzione ed energie per tentare di scongiurare il peggio, un peggio che non so sè, nè quando avverrà, aumenta già di per sé l’ansia. mi preoccupo di stare male, di avere ancora un attacco di panico = sto male, ho un nuovo attacco di panico = mi preoccupo ancora di più che possa ripresentarsi = sono sempre più in ansia al pensiero che possa accadere = la mia probabilità di stare male e che io abbia degli altri attacchi di panico aumenta Tutto ciò nel tempo può innescare un ulteriore problema, una spirale di evitamenti. Perché accade che la persona associ l’attacco di panico al luogo in cui è avvenuto,  e potrebbe iniziare ad evitarli. E così via iniziando un pò alla volta ad evitare altri luoghi dove l’attacco di panico si  presenta. E tutti quei posti che comportano un eccessivo allontanamento da casa, e quindi la possibilità di non poter ricevere aiuto in caso di bisogno. Quali sono le cause di un attacco di panico? L’attacco di panico non è legato ad un luogo fisico, ma è legato a noi e ai nostri vissuti, è legato a noi e alla nostra storia. Nel momento in cui iniziamo a soffrire di attacchi di panico, dobbiamo sempre chiederci cosa stava accadendo nella nostra vita prima di iniziare a stare male, cosa sta accadendo ora, e cosa dovrà accadere in futuro. Cosa è cambiato, o dovrà cambiare? Tutto ciò sempre in riferimento alla nostra vita e alla nostra quotidianità. L’attacco di panico fa la sua comparsa quando in qualche modo la nostra vita va diversamente rispetto a come ce la siamo sempre “raccontata”. Quando la nostra realtà è diversa da come l’avevamo rappresentata e costruita nella nostra mente. Quando abbiamo vissuto una qualche esperienza importante che ci va ad invalidare come individui, e percepiamo in qualche modo di “essere in pericolo”. Come curare in modo efficace gli attacchi di panico? È possibile guarire dagli attacchi di panico, ma innanzitutto occorre comprendere il sintomo e dargli un significato. Questo fa la sua comparsa sempre per un motivo, e gli attacchi di panico cessano quando il motivo scatenante viene rintracciato e risolto. Per farlo occorre ricostruire la storia della persona, solo allora sarà possibile agire e andare a lavorare sul vero problema. I farmaci da soli non sono sufficienti anche se in casi importanti servono ed è utile utilizzarli. Possono aiutare a percepire un po’ meno il malessere, ma non possono risolvere da soli i problemi che sono alla base, che invece dovranno essere affrontati anche tramite un serio percorso terapeutico. In questo modo sarà possibile imparare a conoscere e gestire gli attacchi di panico per esserne nel tempo meno condizionati.  Per capire poi anche cosa li sostiene, e lavorare sul percorso di vita dell’individuo, allo scopo di arrivare ad una loro piena risoluzione. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.

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come superare un lutto

Come Superare un Lutto: un Profondo Dolore da Attraversare

Il lutto: una delle esperienze più dolorose e difficili che la vita possa porre sul nostro percorso. Il dolore che possiamo provare di fronte alla perdita di una persona cara, è un’esperienza forte, viscerale e destabilizzante. Si tratta di qualcosa che può sopraggiungere un pò per volta a causa di una malattia, oppure all’improvviso. Qualcosa che a volte appare del tutto insensato ed ingiusto. Quando a perdere la vita sono bambini, giovani, individui che potenzialmente avrebbero avuto davanti a sé tutta una vita da vivere. Un’esperienza che se non correttamente elaborata può condizionare e modificare completamente ed in negativo, la vita emotiva e relazionale di un individuo. Nonostante tutti siano consapevoli dell’ineluttabilità di tale evento, è qualcosa di fronte al quale non siamo mai totalmente pronti. D’altronde entra in gioco il nostro attaccamento nei confronti delle persone che amiamo, e vorremmo giustamente non dovercene mai separare. Ma la perdita è un fase imprescindibile del nostro ciclo di vita, e prima o poi inevitabilmente ci troveremo a dover fare i conti con questo aspetto. Si tratta di un dolore che per essere superato va vissuto e non “sotterrato“. Perché se rimane dentro come qualcosa che non merita attenzione, “mangia” e pian piano logora la nostra interiorità e quindi la nostra vita. Come superare un lutto: le tre fasi Affinché un lutto possa essere superato ed elaborato in modo adeguato, ogni individuo quindi si troverà a passare per queste tre fasi. E a volte tale elaborazione avverrà in modo naturale, mentre altre ciò non sarà possibile. E quindi quell’evento resterà presente, e condizionerà ogni altro aspetto della vita futura. Se infatti non riusciamo a procedere nell’elaborazione del lutto, piuttosto che andare verso l’accettazione, torniamo indietro a fasi precedenti, e a volte rimaniamo bloccati lì. Continueremo quindi a vivere le caratteristiche e con i limiti imposti da quella particolare fase, senza alcuna possibilità di trovare una soluzione. Come superare un lutto? Per superare un lutto necessitiamo dell’altro. Abbiamo bisogno di vivere questo dolore, condividerlo con una o più persone di fiducia.  Abbiamo la necessità impellente di non chiuderci, anche se è quello che più di ogni altra cosa desideriamo. Quindi non abbiamo bisogno di “essere forti”, come spesso qualcuno consiglia a colui che ha appena perso una persona amata. Colui che sta affrontando questo dolore non necessità di “essere forte”, ma di tirare fuori la sua vulnerabilità, di viverla, di sentirsi accompagnato  ed accettato in questo percorso. Perché il “dover essere forti” porta a chiudersi nel proprio mondo, e questo non favorisce la giusta elaborazione di un lutto. In questo non possiamo essere autosufficienti, abbiamo bisogno di identificare una persona, o più di una, che possa starci vicino, con cui poter parlare, per dare una collocazione a ciò che è accaduto, e provare insieme a fare ordine. Ma soprattutto per vivere emozioni che altrimenti rimarrebbero bloccate dentro di noi, e senza alcuna possibilità di espressione. A volte nelle storie dei nostri pazienti ci sono casi di lutto non adeguatamente elaborati e superati. E sono proprio questi eventi che del tutto inaspettatamente a distanza di anni, possono causare i sintomi e le difficoltà con cui la persona arriva. Quindi solo un corretto superamento del lutto porterà ad un nuovo equilibrio. E in questi casi, quando il processo del lutto è bloccato, quando da tempo stazioniamo solo nella nostra realtà e nel nostro dolore, un terapeuta può indicare come far ripartire il processo, e come uscirne. Solo in questo modo il lutto troverà finalmente una sua giusta collocazione, e non continuerà ad invadere la vita emotiva e relazionale dell’individuo. Rimarrà si nella memoria, ma in modo adeguato e funzionale. Andrà ad occupare il posto che gli spetta, permettendo all’individuo di continuare nonostante tutto a vivere in maniera gratificante la propria vita. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.

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