Ipocondria: Comprendere e Affrontare il Disturbo

Il disturbo ipocondriaco è un disturbo d’ansia, caratterizzato da una preoccupazione eccessiva nei confronti della propria salute e delle malattie. La persona ipocondriaca potrebbe essere convinta di essere affetta da una malattia, di avere quindi a suo dire conclamati problemi di salute, o avere estrema paura di ammalarsi. Ipocondria Sintomi: pensieri ossessivi e compulsioni La persona ipocondriaca prova molta ansia rispetto alla propria salute e alle malattie, e sopravvaluta fortemente la possibilità di potersi ammalare. Trascorre molto del proprio tempo a rimuginare sulle malattie, a volte su una specifica malattia, su uno specifico distretto corporeo. A volte su preoccupazioni inerenti la salute, ma in modo più generico. E tali preoccupazioni potrebbero riguardare la salute fisica o anche quella psicologica. La persona ipocondriaca potrebbe quindi presentare preoccupazioni poliedriche e molto intense. I tentativi di rassicurazione da parte di familiari e di tutti coloro che sono accanto alla persona, di solito non sortiscono grandi effetti. Anche ogni tentativo di rassicurazione attuato dai medici stessi a cui la persona si sarà rivolta per dei controlli medici è ampiamente bypassato, tornando ben presto all’interno di una spirale ansiogena molto difficile da gestire. La persona ipocondriaca trascorre molto tempo a fare ricerche su internet, alla disperata ricerca di risposte che le consentano di trovare una soluzione. Anche questo, assieme alle continue rassicurazioni richieste, in realtà finisce per ingabbiare sempre di più colui che soffre di un disturbo ipocondriaco, all’interno di una sofferenza senza fine. Paura di Ammalarsi e pensiero ossessivo La persona ipocondriaca sviluppa un pensiero ossessivo nei confronti della salute e delle malattie. Percepisce che tale pensiero ossessivo invade completamente la propria vita, al punto tale da non poter pensare ad altro e vivere la propria normalità. Ipocondria Cause e Fattori Scatenanti Di frequente l’essere ipocondriaco cela una situazione familiare di malattie pregresse o di altrettante preoccupazioni eccessive rispetto alla salute e alle malattie. La persona ipocondriaca di solito a livello educativo è stata molto protetta e fatta sentire fragile, debole e vulnerabile. A volte, l’essere ipocondriaco cela una particolare sensibilità personale e facile impressionabilità nei confronti di tutto ciò che concerne il mondo della salute fisica o psicologica. A Cosa Porta l’Ipocondria: Impatto e Conseguenze Se non curata, tale difficoltà può arrivare ad influire in modo invasivo sulla qualità della vita di un individuo. Può portarla a soffrire di una persistente condizione di ansia e, con essa, ad evitare di svolgere attività normali, restringendo quindi le possibilità. La persona ipocondriaca, se non adeguatamente trattata con un serio percorso psicologico, finisce per peregrinare a lungo tra incessanti controlli medici, i quali, pur dando tutti esito negativo, non potranno rassicurare in alcun modo la persona in questione. Verrà purtroppo, se non adeguatamente trattata, a strutturarsi un circuito vizioso senza fine, dal quale diverrà sempre più difficile uscire. Disturbo Ipocondriaco: Come Guarire e Migliorare la Qualità della Vita Ma tornare a star bene è possibile. Occorre tuttavia innanzitutto spostare il focus su quello che è il reale punto della situazione, e cioè occuparsi del problema non da un’ottica medica, ma da una prospettiva psicologica. Questo naturalmente una volta esclusi gli ovvi controlli, che non c’è alcun problema fisico. Cosa occorre fare per riuscire finalmente a star bene? Occorre cessare subito la compulsione dei controlli medici e la compulsiva ricerca di soluzioni su internet. Ogni caso è a sé e può essere risolto solo partendo da tale importante presupposto. Tali comportamenti compulsivi non hanno altro effetto che peggiorare la situazione. La persona ipocondriaca dovrà poi, un po’ alla volta, reimparare a leggere le proprie sensazioni corporee, smettere di controllare il proprio corpo e portare nuovamente l’attenzione più all’esterno che all’interno. Andranno chiaramente compresi anche i motivi per cui la persona in questione ha sviluppato una tale difficoltà, cosa sta accadendo nella sua vita e cosa è accaduto o dovrà accadere. Anche la risoluzione delle motivazioni favorirà il miglioramento dei sintomi e quindi la guarigione. La persona ipocondriaca dovrà quindi un po’ alla volta riabilitarsi e riallenarsi rispetto a un funzionamento normale. A volte, ma occorrerà valutare caso per caso, potrà essere necessario anche un ovvio sostegno farmacologico se l’ansia provata è talmente forte e invalidante da inficiare gravemente la qualità di vita della persona. Una tale ansia così invalidante non consentirebbe alla persona di avere una minima base di lucidità per fare ciò che occorre per poter guarire. Quindi, in questo caso, sarà necessario abbassare, modulare, un po’ la condizione di ansia presente per poter lavorare più agevolmente sui meccanismi psicologici che sorreggono il problema. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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Dipendenza Affettiva: quali le Origini di tale Sofferenza?

Ogni eccesso nasconde sempre una carenza, una fragilità. Colui che è solido, equilibrato e realizzato, non sente infatti la necessità di aggrapparsi a persone, sostanze o comportamenti disfunzionali. Dipendenza affettiva: dove ha origine questo dolore Tutto sembra avere inizio dalla famiglia. Colui che non ha fatto esperienza di relazioni sicure, accoglienti, amorevoli e di fiducia, rischierà di chiedere al partner la compensazione di tali mancanze. Oppure all’opposto di sviluppare una modalità di funzionamento evitante, che lo porterà a rinnegare il proprio bisogno d’amore. Colui che soffre di dipendenza affettiva sembra non aver portato adeguatamente a termine il proprio sviluppo affettivo. Resterebbero così agganciato alla nostalgia di quel rapporto fusionale, caratteristico dei primi anni di vita. Ed in seguito è molto probabile che vada a ricercare quelle stesse sensazioni di appagamento in modo disfunzionale, in una persona. Dipendenza affettiva: un modo di illusioni Colui che soffre di dipendenza affettiva vive in qualche modo di illusioni chiedendo all’altro anche se in modo implicito, di salvarlo da un passato doloroso e disfunzionale. Vorrebbe come rientrare di quel debito affettivo accumulato nell’infanzia, ed esserne risarcito attraverso un rapporto esclusivo e totalizzante. Dipendenza affettiva: un dialogo a tre Non dobbiamo mai dimenticare che all’interno della nostra psiche saremo sempre in tre a dialogare: noi ed i nostri genitori. E che non sempre tale dialogo si sarà ahimè svolto nel migliore dei modi (Chiaramente l’intento non è colpevolizzare nessuno in quanto ognuno da ciò che può dare e ciò che conosce, non è possibile dare ciò che non si ha, genitori compresi). E’ attraverso infatti  il rapporto con i nostri genitori e in seguito con altre figure significative, con le quali saremo cresciuti, che apprenderemo il rapporto con l’altro. Apprendiamo quindi l’amore da chi vediamo amare o non amare mentre cresciamo. Mentre cresciamo viviamo una condizione di dipendenza dalla nostra famiglia, e sarà essa a fornirci tutte le istruzioni per l’uso, anche sull’amore. E se siamo fortunati tutto ciò porterà in età adulta all’autonomia e all’indipendenza. Ma non sempre tutto andrà per il verso giusto. A volte il bambino verrà denigrato, svalutato, umiliato. Altre vezzeggiato in eccesso e crescerà non sperimentando mai la frustrazione, e con l’illusione di essere speciale. Il primo fallimento suonerà quindi come qualcosa di insostenibile. Entrambe queste situazioni sia il poco che l’eccesso, andranno a creare una ferita narcisistica, e quindi degli schemi disfunzionali che verranno  poi portati nelle relazioni future. Il processo evolutivo del bambino dovrebbe chiudersi con il distacco dalle figure genitoriali interiorizzate. E questo gli permetterà di acquisire una propria individualità in modo completo. Ma per potersi emancipare innanzitutto è necessario ci sia un legame, l’attaccamento alle figure che accudiscono, che può essere saldo e sicuro oppure incerto ed ambivalente. Nel primo caso avremo la sensazione di un porto sicuro a cui poter sempre tornare. Nel secondo caso percepiremo il vuoto, la confusione, la non certezza di essere accolti, ed una perenne oscillazione tra la paura di allontanarsi ed il desiderio dell’indipendenza. Ma se l’evoluzione non arriva al giusto compimento si può giungere ad una condizione di chiusura, oppure è possibile rimanere dipendenti e bisognosi. Con molta probabilità quindi cercheremo di instaurare relazioni dipendenti, di aggrapparci all’altro come un’ancora di salvezza. Ma per quanto un legame tra partner possa essere forte o devoto non potrà mai sostituire il legame genitoriale. E non potrà mai compensare completamente ed in modo soddisfacente, una costante e forte fame d’amore. Secondo la teoria psicodinamica la dipendenza affettiva può essere originata dal non aver interiorizzato mentre crescevamo una sicurezza che possa proteggerci da dentro. Secondo alcuni studi occorrerà superare la paura di sentirci separati da chi ci accudisce. Soltanto se impariamo a stare in questo spazio vuoto potremo gestire l’assenza. Se la madre percepisce il figlio capace di essere autonomo e gli rimanda questa immagine anche lui la farà propria. Se invece lo pensa fragile ed incapace di provvedere da solo ai propri bisogni, esso si sentirà legato a qualcuno per esistere. Dunque impariamo a pensarci sulla base di come siamo stati pensati. Se non riusciremo ad evolvere verso una sana capacità di interiorizzare ciò di cui abbiamo bisogno (amore, fiducia, efficacia, senso di sicurezza) lo cercheremo fuori, e rischieremo di illuderci di poter trovare una soluzione nella dipendenza. E fino a quando non ne diverremo consapevoli sarà anche ben poco ciò che potremo fare per cambiare la situazione. Dipendenza affettiva e profezia che si auto avvera Colui che soffre di dipendenza affettiva spesso da un punto di vista relazionale, finisce per cadere nel tranello della cosiddetta profezia che si auto avvera. Avendo una bassa autostima ed un basso senso di autoefficacia, si convincerà di essere poco amabile e che quindi con grande certezza rimarrà solo. Inizieranno allora verifiche e comportamenti inconsapevoli che un po’ alla volta spingeranno l’altro ad allontanarsi, per poi rincorrerlo ed implorare di restare. Tendiamo ahimè a ripetere ciò che conosciamo. La dipendenza affettiva è quindi un attaccamento tanto forte all’altro al punto di percepire di non poterne fare assolutamente a meno. E tutto ciò si incontra purtroppo anche con la paura estrema di perderlo, e con la convinzione di essere poco degni d’amore e valore (appreso nell’ambito della propria storia di vita). Un eterna diatriba che potrà quindi risolversi solo prendendosi finalmente in carico, e lavorando su di sé per giungere alla tanto agognata autostima, acquisire senso di efficacia, senso di valore personale, autonomia, capacità di vivere l’amore in modo sano. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.

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Comportamento passivo-aggressivo

Come riconoscere il comportamento passivo-aggressivo e gestirlo in modo efficace

Chi è la persona passivo-aggressiva? Il passivo aggressivo è un individuo che fatica ad esprimere emozioni, sentimenti e bisogni. E proprio a causa di tale difficoltà dissimula ciò che prova. A volte omettendo del tutto ciò che sente e vorrebbe, a volte esprimendo qualcosa che corrisponde solo in parte o all’opposto di ciò che desidera. Il passivo aggressivo quindi è colui che a volte non si esprime affatto, e che utilizza un silenzio contenente astio per covare dentro di sé ciò che prova e desidera davvero. È colui che poi esprime con aggressività ciò che prova quando sarebbe stato sufficiente farlo presente sin da subito. È colui che dice si ma il realtà vorrebbe dire no o desidererebbe tutt’altro. È colui che dice si ma poi non fa ciò che dice, procrastina, finge di dimenticare, o svolge in malo modo una certa azione o compito. Allo scopo di portare indirettamente l’altro a capire ciò che vorrebbe o meno, ma senza esporsi in modo chiaro e responsabile proprio perché ne teme la reazione. È colui che sceglie delle modalità di comportamento passive (poco chiare, e poco efficaci, ma al contrario ambivalenti e pericolose ai fini del funzionamento di una relazione) per esprimere la propria aggressività, il proprio disappunto, derivante dal non poter soddisfare i propri bisogni proprio perché di frequente inespressi o espressi in modo non adeguato. Il passivo aggressivo quindi è una persona che spesso non riusciremo a decifrare nel momento in cui entreremo in relazione. Proprio perché esso stesso fatica profondamente nel conoscersi e nell’aprirsi in modo onesto all’interno di una relazione profonda. È importante specificare che possiamo parlare di comportamento passivo aggressivo fintanto che tale modalità si presenta in modo sporadico. E con tali caratteristiche può essere infatti accaduto ad ognuno di noi. Parleremo invece di personalità passivo aggressiva se si tratta di una modalità di gestione persistente, prevalente o l’unica che l’individuo conosce. Perché si diventa passivo aggressivi? Tra le cause di tale difficoltà rintracciamo un’educazione poco attenta nei confronti delle emozioni, dei sentimenti e dei bisogni del bambino. Di frequente rintracciamo che tale modalità passivo aggressiva era già utilizzata da uno o entrambe i genitori come modalità di gestione del rapporto. Finisce quindi per essere appresa proprio perché unico modello di riferimento. E che l’espressione del sentire e dei bisogni del bambino spesso venivano ignorati, negati, banalizzati, oppure aspramente criticati. Insomma rintracciamo una persona alla quale è stato insegnato che è inutile dire apertamente e a volte anche pericoloso, perché esprimere può esporre a critiche, difficoltà o litigi, quindi meglio dissimulare e tenere per sé la verità. Il passivo aggressivo quindi è una persona che in fondo ha imparato a conoscersi poco e che non sa gestire la parte più realistica di sé, e di frequente proprio per tali motivi rifugge dalle relazioni profonde (dove il farsi conoscere, aprirsi e gestire gli scambi diviene necessario). Il comportamento passivo aggressivo in amore: come è possibile gestirlo? Il comportamento passivo aggressivo reiterato quando incontra l’altro e l’amore può portare ad una serie di importanti difficoltà. Come potrà infatti una persona che fatica a conoscere se stessa consentire ad un’altra di conoscerla? Come potrà il soggetto passivo aggressivo “chiuso nel proprio bozzolo” costruire con l’altro una relazione funzionale e basata sullo scambio e la condivisione? L’altro come potrà comprendere ciò che non viene espresso dal partner o che viene espresso in modo inadeguato? Come dicevamo poco sopra di frequente queste persone infatti tendono a defilarsi rispetto alle relazioni importanti (siano esse amorose o amicali) proprio perché sentono che non potrebbero gestire ciò che essere comportano. E al contrario prediligono relazioni fugaci, poco impegnative, superficiali in cui “rimanere nel mistero e chiusi nel proprio bozzolo possa in qualche modo funzionare”. Per coloro che invece decideranno di concedersi al mondo delle relazioni e dei sentimenti, sarà fondamentale prendere consapevolezza del fatto che la modalità passivo aggressiva soprattutto se reiterata, non consente affatto di poter gestire al meglio una relazione. Non consente di farsi comprendere né di costruire un rapporto. A volte la persona che ne è affetta ne è consapevole a volte no quindi in questo caso sarà fondamentale anche l’apporto del partner, che possa far notare e aprire una sana riflessione sull’argomento. Quando parliamo di comportamento passivo aggressivo e amore, è certamente consigliata innanzitutto una terapia individuale che porti la persona stessa che ne soffre, a migliorare il proprio rapporto con sé, con le proprie emozioni, sentimenti e bisogni. Ci si concentrerà quindi su una certa tipologia di lavoro: apprendere ad ascoltare le proprie emozioni, dare loro un nome, ascoltare il proprio sentire (i propri pensieri e sensazioni), i propri bisogni, capire il proprio funzionamento, quando ciò si attiva, riconoscerlo e imparare ad agire in altri modi più utili, chiari e responsabili. Sull’apprendere quindi nuove strategie per non giungere alla rabbia ma alla gestione della situazione. Quindi ad esempio imparare a condividere/esprimere riconoscendone la non pericolosità, il chiedere, imparare ad accettare un possibile rifiuto, il mediare le proprie esigenze con quelle dell’altro. Insomma sarà necessario apprendere una serie di capacità che la persona passivo aggressiva non è abituata ad utilizzare. E che potranno metterla nella condizione di relazionarsi meglio, ed ottenere anche con maggiore probabilità un buon soddisfacimento dei propri bisogni personali. Anche il partner potrebbe volendo essere coinvolto in qualche seduta in modo da apprendere come gestire il passivo aggressivo. Ad esempio fargli notare in modo benevolo quando si innesca la modalità passivo aggressiva, spronarlo ad esprimere ciò che prova e come sia quindi possibile ed utile condividere, spronarlo a trovare una negoziazione. Anche il partner è fondamentale che impari a gestire la modalità poco adeguata dell’altro anziché con rabbia/aggressività (infatti questo spingerebbe il passivo aggressivo a reiterare la propria modalità e a confermare a stesso la necessità di farlo) ma con gentilezza e benevolenza in modo da facilitare un nuovo apprendimento, la possibilità quindi di parlare, di ottenere validazione e sostegno rispetto al proprio sentire e ai propri bisogni. Il partner potrà quindi essere di grande aiuto

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Eritrofobia, come vincere la paura di arrossire

Eritrofobia: come vincere la paura di arrossire

Eritrofobia di cosa si tratta: Con la parola eritrofobia intendiamo un disturbo psicologico abbastanza diffuso, che consiste nell’avere la fobia di arrossire in situazioni sociali. Ad ognuno di noi qualche volta può capitare o sarà certamente capitato di arrossire in quanto si tratta di un fenomeno assolutamente normale. Ma per poter parlare di eritrofobia occorre questa situazione si reiteri con frequenza, e che porti la persona che ne soffre a sperimentare forte disagio in situazioni sociali. Al punto da poter causare una vera e propria fobia sociale, e quindi una conseguente forte difficoltà nell’affrontare tali situazioni. Eritrofobia cause: Da un punto di vista fisiologico quando ci sentiamo imbarazzati viene rilasciata adrenalina. Questa accelera il battito cardiaco e dilata i vasi sanguigni al fine di migliorare l’afflusso di sangue e ossigeno. Il nostro viso possiede un grande numero di vasi sanguigni e sono proprio questi a reagire al rilascio di adrenalina creando il tipico rossore. Per ciò che concerne l’aspetto psicologico alla base di tale difficoltà di solito rintracciamo una persona con bassa autostima, insicura, e già tendente a sperimentare una condizione di difficoltà in situazioni sociali in generale o in situazioni sociali in cui deve porsi al centro dell’attenzione (dire o svolgere una qualche prestazione più o meno strutturata). Si tratta di frequente di una persona timida, riservata, che non predilige particolarmente l’essere al centro dell’attenzione. La paura di arrossire quindi può trovare terreno fertile in una persona che per proprie insicurezze percepisce di non avere buone competenze sociali. Oppure può capitare che la persona non abbia mai pensato alla paura di arrossire, ma avendola improvvisamente sperimentata in qualche situazione ed essendosi sentita molto a disagio, cominci a temerla e quindi a pensarci troppo. Paura di Arrossire quali circuiti viziosi si instaurano: Nel momento in cui la persona inizia a pensare ossessivamente alla possibilità di poter arrossire (“sicuramente diventerò rosso”), da qui può innescarsi ciò che chiamiamo la profezia che si auto avvera. E sarà proprio tutta l’attenzione, tutto il focus che porremo sulla questione a far sì che il problema possa presentarsi con maggiore frequenza e sofferenza. E una volta instauratosi questo circuito vizioso tutto ciò causerà alla persona che ne soffre ancora maggiori difficoltà. Di frequente colui che ne soffre inoltre trova una possibile soluzione (chiaramente non risolutiva ma peggiorativa del problema) nell’evitamento. Inizia infatti a cercare di evitare tutte le possibili situazioni sociali che possano causare la tanto temuta paura di arrossire. Questo come è facilmente comprensibile causerà un restringimento delle opportunità sociali, e con esso un graduale e continuo abbassamento delle competenze sociali, dell’autostima e della sicurezza dell’individuo. Quella che quindi inizialmente poteva sembrare una buona e semplice soluzione al problema finisce per divenire essa stessa il problema. Evitare infatti non è la soluzione migliore perché ci mette in condizione di non poter mai rivedere la nostra idea di base, ma anzi di rafforzarla e divenirne sempre più inevitabilmente schiavi. Ma la buona notizia è che possiamo fare molto per uscire da tale difficoltà lavorandoci assieme ad un professionista. Come vincere la paura di arrossire: 2 punti essenziali In questi anni ho avuto modo di trattare molte persone per questa difficoltà, e ritengo per esperienza diretta gli aspetti più importanti su cui concentrarsi siano due. Il primo è lavorare sulla propria autostima. Andare quindi a capire nello specifico vissuto della persona quali sono le caratteristiche su cui occorre intervenire. Solo rafforzando le risorse e l’idea che tale individuo ha di sé, sarà possibile arrivare ad una vera soluzione del problema. Alla base della fobia di arrossire troviamo infatti di frequente una persona che non sta bene con se stessa e si percepisce difettosa ed inadeguata. Questa percezione va rivalutata ed è possibile farlo con un adeguato lavoro terapeutico con un esperto di tale tematica. Il secondo punto essenziale che reputo anche strettamente legato al primo (una migliore autostima infatti aiuterà la persona anche a pensare di poter fare questo importante passaggio) è imparare a dare meno importanza a tale forma di espressione del nostro corpo. Occorre infatti portare la persona in questione a poter leggere tale evento in modo normalizzante anziché pericoloso. Proprio perché è la percepita pericolosità della situazione ai fini della propria immagine sociale e personale, (sono molte infatti le idee errate che le persone strutturano in merito) a sostenere e reiterare il problema. Occorrerà quindi lavorare in parallelo su questi due aspetti in modo da portare la persona a guarire dall’eritrofobia, sentendosi più forte, adeguata, sicura e capace di normalizzare ciò che accade. Occorrerà imparare anche ad accettare i propri limiti e che in fondo nessuno di noi è perfetto. E che questo non cambia e non distrugge in alcun modo la nostra reputazione sociale e personale proprio perché essere imperfetti è la normalità, e possiamo quindi consentirci di esserlo perché non è la fine e va bene proprio così. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.

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Come Gestire le Emozioni: 2 Spunti Essenziali

Parliamo di gestione delle emozioni. Devi sapere che si tratta di un tema davvero molto importante, in quanto gestire bene le nostre emozioni significa anche riuscire a gestire bene la nostra vita, le varie vicissitudini, quindi riuscire ad avere anche una vita di qualità. Quando parlo di gestione delle emozioni nello specifico mi riferisco alle emozioni un pò più scomode. Alle emozioni che noi annoveriamo nella categoria delle meno piacevoli. E quindi questo ci consente di dire che chiaramente quando noi proviamo emozioni piacevoli quali ad esempio la serenità, la felicità, la gioia, e la soddisfazione, di solito non ci sentiamo in difficoltà di solito non abbiamo bisogno di mettere in atto una gestione, ma semplicemente proviamo piacere nel sentire, nel provare, nel vivere determinate emozioni. Ma quando purtroppo sperimentiamo emozioni non piacevoli quali ad esempio l’ansia, la paura, l’insoddisfazione, la frustrazione, la tristezza, la noia, allora noi a volte andiamo in difficoltà e non riusciamo a gestire bene queste emozioni. Le emozioni possono essere di serie A e serie B? Per chiarezza è innanzitutto importante dire che non esistono emozioni di serie A o di serie B, quindi non esistono in realtà emozioni meno utili o emozioni di cui non avremmo bisogno, quindi emozioni da debellare. Le emozioni sono tutte importanti sono tutte fondamentali, tutte ci trasmettono delle importanti informazioni. Siamo noi individui che tendiamo appunto a suddividere le emozioni in piacevoli e spiacevoli. Ma in realtà non potremmo assolutamente fare a meno di nessuna di esse. Ho deciso di scrivere questo articolo perché credo che sia molto importante trasmettere qualcosa in più in merito alle emozioni, cercare di capire quanto questo mondo sia importante, quanto sia importante riuscire a gestirlo bene. Quindi per cercare di parlarvi di questo aspetto vorrei andare nello specifico su due punti che ritengo davvero fondamentali, e che possono aiutarci tantissimo e possono quindi migliorare molto la gestione delle nostre emozioni. Come imparare a gestire le Emozioni: due punti fondamentali Il primo punto è che le emozioni vanno sentite, vanno provate. Questo potrà sembrarvi scontato ma vi garantisco che tanti di noi fanno esattamente il contrario. Tanti di noi vorrebbero non provare le emozioni, tanti di noi cercano di far finta di nulla cercano di nascondere le proprie emozioni, tanti di noi cercano di combatterle di debellarle, tanti di noi le criticano. Ebbene questa non è gestione delle emozioni questo è l’esatto contrario. Quindi quando noi ci mettiamo in questa posizione possiamo solo crearci tante difficoltà. Infatti tutte le difficoltà che riscontriamo nell’ambito delle emozioni ce le abbiamo proprio per questi motivi. Quando combattiamo le emozioni, non le vogliamo, le nascondiamo, le critichiamo, insomma facciamo qualcosa che non dovremmo fare noi finiamo appunto per entrare in un contesto nel quale possiamo solo avere ulteriori difficoltà. Possiamo faticare ancora di più nella gestione delle emozioni. Quindi è molto importante sentire. Sentire significa innanzitutto non spaventarsi quando proviamo delle emozioni, significa fare spazio a quell’emozione all’interno del nostro corpo. Significa lasciarla espandere, significa lasciarla estendere in modo tale che quell’ emozione possa trasmetterci l’informazione che vuole darci e quindi possa fare ciò che deve fare per poi poter rientrare. Il secondo punto anch’esso molto importante è che dopo aver lasciato essere un emozione, quindi dopo averla sentita noi dobbiamo darle un nome. Dare un nome è importante in quanto ci consente di capire bene cosa stiamo provando, cosa ci sta accadendo. Quindi cerchiamo sempre di darle un nome specifico e poi cominciamo anche a chiederci: cosa sto vivendo? cosa sta accadendo? o cosa sto pensando? come mai insomma mi sento così perché provo questa emozione? cosa accade nella mia vita ora o cosa accaduto poco prima? cosa dovrà accadere? In quanto le emozioni sono legate al presente, al passato e anche al futuro. Capire le emozioni che stiamo provando È molto importante chiedersi cosa sta accadendo e perché sto provando quell’emozione. Perché se noi facciamo questo abbiamo anche modo di capire cosa occorre fare. Capire appunto quale emozione stiamo provando e perché la stiamo provando ci mette poi soprattutto nella condizione di poter capire anche cosa servirebbe, cosa dovremmo fare, e quali soluzioni dovremmo provare a pensare. Ci dà l’idea magari di qualche alternativa di qualche possibilità, possiamo pensare a qualche altra lettura. Ma se noi al contrario non capiamo cosa sta accadendo, non capiamo cosa stiamo provando, e soprattutto tornando al primo punto cerchiamo di non sentire ciò che sentiamo, non riusciremo a capire nulla di tutto ciò. E se non riusciamo a capire nulla di ciò che ci accade non potremo nemmeno gestirlo. Per questo è molto importante sentire innanzitutto, perché sentire è proprio il primo passo per arrivare poi a dare un nome a ciò che noi sentiamo, e per capire anche perché, cosa ci sta accadendo. Tutto questo poi ci consente di andare alla gestione, ci consente anche di pensare a cosa dovremmo fare, come dovremmo leggere quella situazione, a quali alternative potrebbero esserci per cercare di gestire la situazione in atto, per cercare quindi di gestire anche le emozioni che noi stiamo provando. Ricordiamoci sempre che ogni emozione trasmette un messaggio. Quindi anche quando noi proviamo un’emozione apparentemente non piacevole quell’emozione trasmette un messaggio e noi quel messaggio dobbiamo cercare di decifrarlo di capirlo. Perché decifrare e capire sono poi la strada per riuscire a capire anche come possiamo gestire ciò che noi stiamo sentendo, ciò che noi stiamo provando. Ricordate questi due punti importanti: sentire le emozioni, riuscire a dare un nome, riuscire a capire perché stiamo provando ciò che stiamo provando, e cosa quell’ emozione vuole dirci, perché questa è la strada per la gestione delle emozioni. Ricordiamo sempre che si tratta di un punto davvero molto importante. Non dobbiamo mai pensare che le emozioni vadano abbandonate e lasciate a sé stesse, perché riuscire a gestire bene le nostre emozioni significa riuscire ad avere una vita di qualità. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la

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capire la mente

Come Funziona la Mente Umana e come farla Lavorare a proprio Vantaggio

Capire la mente Partiamo da un importante presupposto capire la mente è utile. Capire come funziona la mente umana può essere un elemento fondamentale, un vero e proprio valore aggiunto nella nostra quotidianità. Questo infatti può metterci in condizione di comprendere cosa funziona e quindi cosa fare, ed al contrario cosa non funziona affatto e quindi cosa provare ad evitare. Questo articolo può essere utile soprattutto per tutti coloro che mi chiedono come poter fare a non pensare a cose negative a cose che creano sofferenza. Come possiamo quindi metterci in condizione di avere pensieri più utili e costruttivi? Capire la mente: cosa non funziona Proviamo innanzitutto quando parliamo di funzionamento della mente a comprendere cosa non funziona. Non funziona ragionare con i NON. Non devo pensare a questo…non devo pensare a quello… Quando facciamo in questo modo stiamo già pensando proprio a ciò che non desideriamo pensare, e te lo dimostro subito. Se ora ti chiedessi di non pensare assolutamente ad un elefante rosa probabilmente sarebbe la prima cosa che ti verrebbe in mente, lo stesso se ti chiedessi di non pensare al tuo colore preferito, alla tua macchina, al tuo piatto preferito… E questo all’infinito. Ogni volta che ti impegni per non pensare a qualcosa la pensi di più e con maggiore forza. Immagina cosa accade quando ad essere coinvolti sono pensieri non piacevoli. Il tutto viene peggiorato dal fatto che mente ed emozioni sono collegati. E quindi se nella nostra mente girano solo pensieri negativi le emozioni non potranno che essere in linea ed andare nella medesima direzione, e queste a loro volta contribuiranno ad incentivare ulteriori pensieri negativi. Si tratta di un circolo vizioso che tende ad auto mantenersi e rinforzarsi. Non funziona provare a non pensare a nulla, quindi svuotare la mente. Intendo impegnarsi razionalmente nell’intento di non pensare. Ma al contrario potremmo ottenere questo proposito con altre tecniche, e mi riferisco ad esempio a metodiche come il rilassamento, la mindfulness. Ma impegnarsi per non pensare a nulla non funziona. La nostra mente non presuppone il vuoto, quindi se non le diamo stimoli o stimoli costruttivi andrà comunque a cercarseli, e potrebbero non essere molto funzionali. Non funziona credere a tutto ciò che la nostra mente pensa. Non tutti i nostri pensieri infatti sono veri. Il semplice atto di pensare e che quei pensieri ci appartengano non significa comunque che tutto ciò sia vero. Il potere della mente è proprio questo. Farci credere che tutto ciò che appartiene alla semplice realtà mentale (pensiero) sia vero, e ciò chiaramente influisce sulla nostra percezione della realtà, e su come poi ci approcciamo nel vivere la realtà vera. Non funziona vivere nella mente. Vivere nella mente significa vivere la vita pensando, e trascorrendo invece ben poco tempo nel qui ed ora, nel presente.La mente a volte riesce a “Prenderci” un po’ troppo a tal punto da rimanere bloccati in essa. Capire la mente significa innanzitutto mettere a fuoco questi importanti aspetti. Capire la mente: cosa funziona Alla luce dei punti poco sopra esposti proviamo a capire al contrario cosa funziona quando parliamo di mente. Proviamo solo per un attimo ad immaginare la mente come un contenitore, e questo contenitore può contenere qualcosa ma non altro, soprattutto nello stesso identico  momento. Ad esempio non possiamo pensare cose belle e brutte nello stesso momento, come non possiamo stare bene e male contemporaneamente. All’interno di questo contenitore dobbiamo scegliere noi cosa mettere, quindi  concentrandoci su ciò che vogliamo pensare e non al contrario a ciò che non vogliamo pensare. Più inseriamo nel contenitore mente ciò che vogliamo ci sia e più questo può funzionare. Anziché provare a non pensare a nulla mettiamo pensieri costruttivi, teniamoci impegnati e diamo alla nostra mente stimoli interessanti. Non è affatto un caso infatti che i pensieri negativi, facciano la loro comparsa proprio quando non abbiamo stimoli a cui pensare e dare attenzione. Inoltre non possiamo vivere solo nella mente dobbiamo anche staccare e stare nella realtà. E come si fa vi chiederete? Essendo più concentrati su ciò che facciamo e viviamo ogni giorno. Essendo più concentrati sul momento presente, sui luoghi, le persone, ciò che ci circonda, anziché esserlo sempre con il pilota automatico. E se iniziamo a fare questo possiamo anche metterci in condizione di credere un po’ meno nei nostri pensieri. D’altronde è scontato dire che più tempo trascorriamo con i nostri pensieri, più rischiamo di crederci, ma fortunatamente tale processo funziona bene anche al contrario. Più stiamo nella realtà e meno crederemo alla realtà costruita dalla nostra mente. Insomma la mente è un importante strumento che dobbiamo e possiamo imparare ad utilizzare, affinché sia al nostro servizio e non al contrario noi al suo, schiavi di noi stessi. A volte riusciremo a farlo da soli a volte essere aiutati da un professionista in tale processo potrebbe essere importante, e fare davvero la differenza in tale percorso di crescita personale. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.

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4 Passi Efficaci per Superare il Dolore di una Perdita

Quando parliamo di perdita possiamo intendere molteplici e delicati aspetti. Intendiamo ad esempio un lutto e di conseguenza come superare la morte di una persona cara, la fine di una storia e quindi come superare una perdita affettiva, la perdita di un impiego, il fallimento di un progetto nel quale abbiamo creduto ed investito, la perdita del nostro attuale stato di salute, ecc… Con questa parola possiamo quindi intendere le piccole ma anche grandi perdite della vita. I molti e svariati modi con i quali purtroppo la vita può scombinarci improvvisamente “le carte in tavola”, e metterci inevitabilmente di fronte ad un forte ed inaspettato cambiamento, con il dolore che ne consegue. Superare il dolore di una perdita: Perché è difficile affrontarlo? Ognuno di noi chiaramente ha un proprio personale modo di reagire. Ha una propria capacità di reazione e gestione delle situazioni, soprattutto rispetto a quelle non piacevoli. C’è da dire che alcuni di noi tendono ad essere naturalmente più resilienti, riescono cioè a riprendersi e ristrutturarsi con maggiore velocità di fronte ad eventi di vita anche duri. Coloro che invece purtroppo possiedono una minore resilienza, di fronte a cambiamenti più o meno importanti, possono scompensarsi e ristrutturarsi con grande fatica e più lentamente. Ciò che rende non semplice affrontare una perdita, è che essa presuppone sempre un cambiamento più o meno grande, ma pur sempre un cambiamento. E noi individui tendiamo per nostra natura a rifuggire in genere il cambiamento in quanto siamo esseri ripetitivi, vogliamo avere delle certezze, ed alcuni di noi più di altri. Un cambiamento mette improvvisamente in discussione l’identità stessa dell’individuo. Come esso si vede, le sue abitudini, le sue certezze, come si è pensato, ciò che ha fatto ed è stato fino a quel momento, e tutto ciò potrebbe non essere facile da accettare. Inoltre una perdita ci mette inevitabilmente di fronte ad un altro aspetto molto delicato. La presa di coscienza della nostra fragilità come individui, dei nostri limiti, e che come tali non siamo invincibili, e non possediamo il completo controllo della nostra vita come ci illudiamo invece essere. Tutto ciò ci porta a contatto con alcune emozioni che occorre imparare a gestire: la delusione, la frustrazione, il dolore. Una perdita va quindi sempre a toccare corde emotive molto delicate e dolenti. E per questo non è sempre di facile elaborazione. Ma è sempre possibile fare qualcosa, a patto di volersi aiutare e far aiutare. A patto di voler trovare una luce, una strada che porti verso un ritrovato benessere nonostante tutto. Altrimenti nessuno potrà farlo al posto di colui che sta vivendo una tale condizione di sofferenza. 4 passi efficaci per superare una perdita Il primo punto essenziale per superare una perdita è concedersi il tempo necessario per metabolizzare e superare il dolore. Significa non avere fretta di accantonare, dimenticare e sotterrare ciò che stiamo vivendo. Significa non provare a far finta di nulla, in quanto servirebbe a poco e rischierebbe di innescare un vero e proprio effetto boomerang. Cosa è necessario fare quindi? Vivere il dolore, la frustrazione, la delusione, la rabbia, la tristezza. Viversi tutte le fasi del dolore e le emozioni del caso, standoci per un po’ assieme. Cercando di non farsi spaventare ed intimorire dalla loro presenza. E come si fa vi chiederete? Provate a vedere come sia normale ed adeguato provare tutto questo. E quando a delle emozioni dai spazio, riesci poi a percepire che fanno il loro corso e che vanno un po’ alla volta a cambiare e diminuire di intensità. Al contrario quando cerchi di nascondere qualcosa a te stesso, quel qualcosa continuerà a covare in quell’angolino in cui hai cercato di nasconderlo e si ripresenterà poi con maggiore intensità. Quindi vivere le emozioni, darsi la possibilità di provarle senza giudicarle, giudicarsi, o spaventarsi. Il secondo punto necessario per superare una perdita è la condivisione. Condivisione significa parlare delle proprie emozioni, dei propri pensieri e vissuti con qualcuno. E questo qualcuno in caso di necessità può essere un professionista ma intendo anche persone a noi vicine. Chiaramente persone empatiche e adatte all’ascolto. Spesso in questo caso le persone temono che aprendosi possano far allontanare gli altri. E c’è anche da dire che anche chi ascolta, può temere di non sapere cosa dire e come gestire la situazione. La realtà è che di frequente colui che ascolta crede di dover dire cose specifiche o di dover fornire chissà quale soluzione perfetta o magica, e questo ingigantisce l’idea di non essere in grado di ascoltare. Al contrario colui che ha vissuto una perdita e sta quindi provando un dolore non necessita di soluzioni perfette, ma solo di ascolto. Necessita di un contenitore, ha bisogno di sentirsi ascoltato e compreso, e questo può già essere di grandissimo aiuto. La condivisione è un aspetto oserei dire fondamentale quando parliamo di elaborazione del dolore. Non è possibile una buona elaborazione in solitudine, non possiamo fare infatti tutto da soli. Soprattutto quando parliamo di dolore. Quindi alcuni suggerimenti utili possono essere: affronta la perdita, non nasconderla, fai uscire il tuo dolore, condividi i tuoi stati d’animo con gli altri, chiedi aiuto. Un terzo punto molto importante per superare una perdita è non chiedersi perché è successo proprio a me? A volte capita che una persona cominci a chiedersi proprio questo e che inizi quindi ad accanirsi. Questa è la cosa più deleteria che possiamo iniziare a fare. Questo atteggiamento può infatti solo farci sprofondare nella modalità della vittima, e la vittima purtroppo è colei che non ha alcuna possibilità di uscire dalla condizione in cui si trova. Piuttosto è necessario accettare il dolore e fare tutto ciò che occorre per gestirlo, facendo appello a tutte le proprie risorse mentali, emotive e relazionali. Il quarto punto per superare una perdita è coltivare l’accettazione. Cosa significa? Significa a partite dal punto numero tre, cioè prendendo atto della situazione e facendo tutto ciò che possiamo per gestirla, di conseguenza provare un po’ alla volta a riorganizzarsi e a ripartire da sé,

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Sindrome della Crocerossina: Cause e Come Guarire

Oggi vorrei parlarvi della cosiddetta “Sindrome della Crocerossina” altrimenti definita “Sindrome di Wendy”. Si tratta di una modalità ben poco funzionale attraverso la quale alcuni di noi entrano reiteratamente in relazione. Possiamo ritrovare tale modalità all’interno di varie tipologie di relazione. Volendone citare solo alcune possiamo rintracciare la “Sindrome della Crocerossina” in amore, e ad esempio la “Sindrome della Crocerossina” in amicizia. Ad essere affette dalla “Sindrome della Crocerossina” sono prevalentemente le donne, ma anche se con minore prevalenza possono esserlo anche gli uomini. Esistono infatti donne “Crocerossine” e uomini “Crocerossini”. La donna è maggiormente predisposta a sviluppare tale difficoltà per proprie caratteristiche. Essa infatti per proprio modo di essere, funzionare e certamente per motivazioni culturali, è più predisposta all’ascolto, all’empatia, al sostegno, all’aiuto e al sacrificio. Aspetti che la pongono quindi maggiormente in condizione di prendersi cura dell’altro, e di rischiare di farlo a volte in modo eccessivo, ed in circostanze poco adeguate. E mi riferisco nello specifico alla scelta del partner. Questo articolo vuole infatti concentrarsi proprio su tale aspetto. Quali sono i meccanismi psicologici che scattano nella donna crocerossina? Chi è la crocerossina tipo? La donna crocerossina, è una donna che tende a scegliere reiteratamente partner difficili, con problemi, poco risolti rispetto alle proprie personali fasi di vita (eterni Peter Pan), partner immaturi. Si tratta di una tipologia di donna che sceglie partner sofferenti, che in qualche modo percepisce essere inferiori, in difficoltà, e quindi bisognosi di aiuto, riscatto, miglioramento. La donna affetta dalla “Sindrome della Crocerossina” in qualche modo trasmette al proprio compagno il seguente messaggio: “io sono qui per te e mi occuperò completamente di te”. Si tratta quindi di una tipologia di donna che spesso mette il compagno prima di tutto, e soprattutto prima di se stessa, e dei propri bisogni dei quali a volte è totalmente inconsapevole. La donna crocerossina è colei che pone i problemi dell’altro sempre prima dei suoi bisogni. È colei che accetta dubbi, tradimenti, maltrattamenti, instabilità, gelosia, freddezza. E’ colei che accetta sia sempre lui ad avere ragione. Si tratta di una donna insicura a volte pur sembrando all’apparenza molto forte, indipendente e determinata. La “donna crocerossina” è inoltre una donna che non sa cosa sia volersi bene ed occuparsi di sé. È una donna che spesso si porta dietro l’idea che un compagno non bisognoso non potrebbe mai interessarsi ed innamorarsi di lei. Si tratta di una donna che porta con sé un’idea inadeguata dell’amore, che legge come sacrificio, sofferenza e quasi come una missione da compiere. In questo caso la missione da compiere è letteralmente redimere e salvare il proprio compagno. La donna affetta da “Sindrome della Crocerossina“ quindi, cerca e si invaghisce di uomini che percepisce come bisognosi di cura, e questo per un semplice ma profondo motivo, perché essere d’aiuto è fonte di benessere. Aiutare ci fa sentire infatti forti, migliori ed è il motivo per il quale pensa di non poter essere amata da un uomo non bisognoso, perché quest’ ultimo potrebbe non avere così tanto bisogno di lei. E quindi come conseguenza non potrebbe percepirsi forte, ma al contrario si sentirebbe debole e manchevole a causa delle proprie insicurezze. La donna crocerossina quindi è tale soprattutto per sé, utilizza pur non rendendosene conto l’altro per “curare” la propria autostima, per sentirsi importante, per sentire di essere una persona di valore. Utilizza quindi l’accudimento per potersi piacere, stimare e riconoscere come persona, mentre dovrebbe imparare a farlo in altro modo. Esiste un identikit dell’uomo da salvare? È importante chiarire un punto, non necessariamente quando utilizzo il termine salvare intendo un uomo che abbia particolari e gravi difficoltà. Solo a volte è così ma a volte no. A volte l’uomo da salvare lo è anche solo sulla base di altre caratteristiche. Potrebbe infatti essere considerato da salvare un uomo un po’ troppo abituato a fare il “galletto”, In questo caso la missione salvifica si basa sul cercare di “riportare tale individuo sulla retta via”. Un uomo che non riesce ad avere una relazione stabile da anni. In questo caso l’obiettivo sarà salvarlo facendolo ricredere sull’amore, e sulla possibilità di poter avere nuovamente una storia importante. In questo caso la donna crocerossina è come se stesse trasmettendo all’altro: “ci penso io a farti credere nell’amore”. Un uomo potrebbe essere considerato da salvare in senso di maturazione. In questo caso la missione salvifica è: “ti aiuto io a maturare e ti porto al mio livello, affinché possiamo costruire delle cose assieme”. Insomma non immaginiamoci solo uomini altamente problematici e sofferenti, ma tali aspetti possono essere presenti attraverso modalità più sottili. Sindrome da Crocerossina come uscirne È possibile guarire da tale sindrome, a patto innanzitutto di prendere atto di come stiamo funzionando. Alcune donne purtroppo se ne rendono conto solo dopo molto tempo, e dopo aver reiterato per tanto copioni amorosi disfunzionali. Dopodiché sarà necessario iniziare a coltivare la propria autostima attraverso di sé e non solo attraverso la cura dell’altro, come di solito invece la donna crocerossina è solita fare (se ti aiuto e mi prendo cura di te allora mi sento importante, di valore, sento che sto facendo qualcosa di positivo, quindi solo così posso percepire di valere altrimenti no). Occorrerà imparare a sviluppare la propria autostima ed il proprio valore attraverso se stessi come esseri distinti. Ascoltando quindi i propri bisogni, dandosi ciò di cui si ha bisogno, imparando ad ascoltarsi in modo profondo e riconoscersi nella propria individualità. Questa donna dovrà imparare a mettersi un po di più al primo posto o comunque darsi il giusto posto, come una persona che ha diritto tanto quanto l’altro di ricevere per se stessa. Questa donna dovrà imparare a sviluppare una nuova e più sana visione dell’amore. Un amore come dare e ricevere, come felicità, condivisione, scambio equo, maturità e non solo come missione salvifica e sofferenza. A tale scopo, un profondo e congruo lavoro assieme ad un serio professionista, che sappia accompagnare nel comprendere le tematiche giuste e principalmente coinvolte in tale difficoltà, potrà essere

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Accettazione: Come Imparare ad Utilizzare una Risorsa Fondamentale

Accettazione: cos’è e cosa significa Oggi vorrei parlarvi dell’accettazione una risorsa davvero importante, ed oserei dire fondamentale. E’ una risorsa che tutti noi possediamo, ma che alcuni riescono ad esercitare più agevolmente rispetto ad altri. E che nonostante tutto ognuno può comunque imparare a sviluppare e migliorare. Iniziamo con il dire cosa non è accettazione, in modo da poter comprendere bene di cosa si tratta. Accettazione non significa affatto rassegnazione, vittimizzazione, non provar nulla, non soffrire, sconfitta, pensare che qualcosa ci vada sempre e comunque bene. Quando entra in campo infatti l’accettazione? Quando nella nostra vita accade qualcosa che non ci piace, qualcosa che non volevamo, che ci provoca una sofferenza , e magari non ci aspettavamo. Se quello che è entrato a far parte della nostra vita noi lo ritenessimo positivo, non avremmo infatti la necessità di attingere all’accettazione, in quanto quel qualcosa ci piacerebbe, e non avremmo bisogno di altro. Ma purtroppo può accadere che nella nostra vita entri in campo qualcosa di inaspettato, e che noi soggettivamente o a volte oggettivamente non possiamo ritenere positivo ne accettabile. In tutte queste situazioni abbiamo la necessità di imparare ad accedere alla nostra capacità di utilizzare la risorsa accettazione. Proviamo a fare solo qualche esempio: la fine di una storia d’amore, la perdita di una persona cara, un cambiamento improvviso e non voluto, gli esiti di una scelta che non danno risultati sperati, e molto altro ancora. Questi sono solo alcuni esempi, ma si tratta certamente di situazioni in cui abbiamo la necessità almeno in parte, di provare ad accettare cosa sta accadendo. A volte occorre dire che siamo invece agli antipodi dell’accettazione e anziché accettare ciò che si sta presentando, pratichiamo l’accanimento e rimaniamo come si suol dire “attaccati con le unghie e con i denti” a qualcosa di non realistico. Coltiviamo quindi la rabbia, la chiusura, l’illusione. Finiamo quindi col fare l’esatto opposto di ciò che sarebbe più utile, finendo per crearci molte difficoltà. Pensiamo ad una persona che non vuole assolutamente accettare la fine di una storia. Cosa farà? Passerà probabilmente la maggior parte del proprio tempo a pensare all’altro, e coltiverà così tanto tali pensieri, da farli divenire una vera e propria ossessione. E purtroppo in tutto ciò questo individuo finirà col trascorrere molto più tempo in una dimensione ideale ed immaginaria piuttosto che reale. Possiamo solo per un attimo comprendere alla luce di questo esempio quale sarà il costo per questo individuo in termini di non accettazione. Il costo potrebbe essere davvero molto elevato in termini di sofferenza personale. Ma la buona notizia è che comprendendo come fare, possiamo provare ad intraprendere una  direzione differente e molto più funzionale. Accettazione: 3 passi da compiere per iniziare a praticarla E’ fondamentale partire da un importante e realistico presupposto, possiamo sempre scegliere solo tra due alternative possibili: o qualcosa può essere cambiato oppure qualcosa purtroppo non può realisticamente essere modificato. Qual è quindi un primo importate passo per sviluppare la risorsa accettazione? Mentre affrontiamo le varie situazioni della nostra vita dovremmo imparare a porci più possibile le seguenti domande: quello che è accaduto può essere modificato o meno? Nel caso in cui sia modificabile lo è completamente o solo in parte? Queste sono  domande essenziali, in quanto se qualcosa può essere modificato, allora posso attivarmi con una serie di strategie ed azioni pratiche da poter compiere per poter ottenere il risultato sperato. Ma se non è possibile auspicare alcun cambiamento, allora rischio di sprecare solo energie e di intraprendere una guerra contro me stesso, che non porterà mai ad un esito favorevole. In questo secondo caso quindi posso solo imparare a lasciar andare e gestire ciò che sta accadendo. E’ quindi necessario che impariamo innanzitutto a non confondere le cose come purtroppo spesso  facciamo. Il secondo passo verso l’accettazione è imparare a prendere atto. Cosa significa? Prendere atto significa guardare le cose per come sono davvero senza provare ad illuderci, crearci alibi, e scuse … solo guardare oggettivamente i fatti per come sono. Spesso anche qui pur di non accettare la realtà proviamo a crearcene una parallela, fatta di immaginazione e scuse su scuse che ci consentano di scappare da quella che è la realtà vera. Peccato che comportandoci in questo modo ci facciamo solo male, in quanto l’unico e vero modo per poter essere efficaci è partire dalla realtà e non da una mera fantasia. E questo punto ci porta al terzo aspetto importante per imparare a praticare l’accettazione. Questo terzo punto contempla l’intraprendere il comportamento più idoneo. Quindi la domanda a questo punto è la seguente: nella situazione in cui sono cosa posso fare? Quale comportamento, quali azioni e quale atteggiamento è il più idoneo? In questo terzo ed ultimo passo ci impegniamo quindi a perseguire una modalità idonea alla situazione in sé. Vorrei in chiusura mettere in evidenza che tutto ciò non dobbiamo farlo solo come una sorta di “sterile compitino”, ma alla luce di un importante consapevolezza, l’accanimento non è mai una strada praticabile e risolutiva. L’accanimento purtroppo è una strada senza uscita e prima ce ne accorgiamo prima possiamo provare a fare dell’altro. Tutto ciò non sarà certamente semplice, né immediato. E ricordiamoci che provare ad accettare non significa che non soffriremo affatto, e non proveremo emozioni in quanto esse sono parte di noi. Pur provando ad imparare a praticare l’accettazione, sentiremo e proveremo ciò che è idoneo provare. Ma vi garantisco che lavorandoci adeguatamente, potremo fare davvero molto per trovare la modalità di gestione migliore, perché tutto ciò ci servirà sempre e ci sarà di grande aiuto, oggi e nel proseguo della vita. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.  

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Lasciare le cose a metà: perché non riesco a farle?

Lasciare le cose a metà Oggi vorrei parlarvi di un meccanismo perverso che molti di noi purtroppo conoscono bene, essendone ahimè quotidianamente vittime più o meno consapevoli. Mi riferisco a quel meccanismo deleterio che ci porta a vivere non a pieno. Provando purtroppo ad agire solo a metà, ma abbandonando poi ogni volta, o troppo di frequente e troppo presto, senza portare realmente a termine nulla. Insomma alcuni di noi hanno un pò troppo spesso la “mania di lasciare le cose aperte”, di iniziarle ma poi lasciare le cose a metà. A tutti noi è capitato, e non si tratta di un vero problema se è accaduto qualche volta. Ma lo diventa se si tratta di una strategia utilizzata troppo spesso o addirittura dell’unica strategia di funzionamento possibile. Finire ciò che si inizia un elemento necessario Finire ciò che si inizia è importante non è affatto qualcosa di secondario, ma al contrario è fondamentale ed è anche ciò che da davvero senso a quello che facciamo. Capirne i motivi è alquanto semplice ed intuitivo. Finire ciò che si inizia è l’unico vero modo infatti per mettersi davvero in gioco, e poter quindi raccogliere dei risultati positivi e soddisfacenti. Lasciare le cose a metà invece significa innanzitutto non mettersi probabilmente in gioco del tutto, e di conseguenza non ottenerne alcuna soddisfazione concreta. Lasciare le cose a metà significa provare solo un po’, ma ahimè non abbastanza. Di solito infatti se vogliamo ottenere un qualsiasi risultato non è sufficiente provare solo un pò. Solo un po’ non equivale al necessario, che al contrario è ciò che realmente dobbiamo mettere in campo in qualsiasi ambito per giungere ad un risultato. Lasciare le cose in sospeso è indice di poca convinzione, poco impegno, a volte di paure ed insicurezze, che non ci consentono di andare fino in fondo. Proviamo a fare qualche esempio. Se voglio laurearmi dovrò essere disposto ad andare fino in fondo, servirà a poco lasciare le cose in sospeso. Se voglio conoscere e farmi conoscere dalle persone, dovrò mettermi davvero in gioco altrimenti rischio di rimanere solo ai margini di una vera relazione, sia essa amicale o sentimentale. Se voglio costruire qualcosa di nuovo ad esempio un’attività, un progetto, dovrò provarci davvero, e non mollare troppo presto altrimenti non potrò mai sapere come andrà a finire, né raccogliere dei veri risultati. Depressione-procrastinazione E’ scontato ma necessario sottolineare, quanto tale atteggiamento reiterato con ostinazione sia altamente deleterio per la qualità della vita. E quanto tutto questo nasconda alla base una bassa autostima, ma contribuisca anche attivamente ad abbassare e distruggere sempre più la poca autostima esistente. Il messaggio che infatti né riceviamo come un boomerang, è non riesco, non sono capace, non posso fare nulla di buono, non mi va mai bene nulla…e così via. Ognuno di noi infatti si rende ben conto di cosa o meno funziona nella propria vita e che a volte c’è qualcosa che non va. La mia esperienza quindi mi porta a poter dire che l’unica conseguenza di tutto ciò non potrà che essere uno stato di malessere, che tenderà a peggiorare nel tempo se non opportunamente trattato. Finire ciò che si inizia quali possibili soluzioni Direi che il primo fondamentale passo verso la soluzione è prendere atto della presenza di tale difficoltà. In quanto possiamo occuparci solo di ciò che vediamo, e non altrimenti di ciò che neghiamo anche a noi stessi. Dico questo perché per qualcuno non è scontato riuscire a fare questo primo passo. C’è da dire purtroppo che noi individui a volte siamo davvero bravi ad auto ingannarci, a raccontarcela, pur di non affrontare un problema in atto. Il secondo fondamentale passo da fare è essere disposti a mettere in discussione la modalità al solito utilizzata. Ed essere disposti ad imparare col tempo, e con l’ausilio dell’esercizio, alcune doti che sono necessarie per riuscire a finire ciò che si inizia. Mi riferisco alla pazienza, la capacità di gestire l’impulso di evitare o mollare alle prime difficoltà, la perseveranza e la resistenza, la gestione dei pensieri e delle emozioni che inevitabilmente si innescheranno mentre proviamo a fare qualcosa, tra cui ad esempio la frustrazione. Tutte risorse che colui che è abituato a lasciare le cose a metà non conosce e non è abituato ad utilizzare. E proprio per questo motivo risultano essere deboli o quasi inesistenti. Lavorando seriamente su tali aspetti, è possibile fare davvero molto ed intraprendere un ottimo processo di cambiamento. Correndo il rischio come conseguenza di poter accedere ad una migliore e più soddisfacente qualità di vita. Come dico sempre ai miei pazienti: “non è importante da dove parti, tu continua a provarci, e prima o poi scoprirai di essere più competente di quanto pensi”. Con il giusto sostegno che posso darti, impegno, voglia di mettersi in gioco, e le giuste modalità tutto può cambiare. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e riprendere in mano la propria vita o con la consulenza psicologica online o presso i miei studi di Padova e Treviso.

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No Contact e Dipendenza Affettiva: Il No Contact Funziona?

Tante persone ogni giorno inviano sentite richieste d’aiuto, esprimendo l’accorato desiderio di potersi finalmente liberare da un amore malato. E posso dire con profondo rammarico che per la maggior parte si tratta di donne. Sono tante le storie che ogni giorno mi raccontate, ma gli stessi i copioni, e tutte accomunate da un triste comune denominatore, accettare l’inaccettabile. Non mi riferisco necessariamente a maltrattamenti fisici. Quando parlo d’inaccettabile mi riferisco all’assenza di rispetto, sul quale si passa sopra con totale noncuranza pur di non guardare in faccia la realtà, e non rimanere sole. Peccato che se in una storia viene a mancare questo, manca proprio tutto. Mancano le fondamenta che sorreggono tutta la struttura, destinata quindi prima o poi inevitabilmente a sgretolarsi. Care donne il rispetto è importante e necessario. Ci vuole assolutamente se desideriamo vivere una storia d’amore soddisfacente, non basta costruirsi nella mente la “favoletta” del principe azzurro sul cavallo bianco! Dipendenza affettiva una partita a due C’è da dire che può capitare ad ognuno di noi di cadere nell’intricata rete di un amore malato. Non è qualcosa né di difficile nè raro. E può avvenire in maniera anche molto rapida, pur avendo vissuto in passato storie con ben altre caratteristiche. Il motivo è semplice, la fuori sono molte le personalità narcisistiche e manipolatorie, e sono anche molte le personalità insicure. Quando queste due tipologie di personalità si incontrano, iniziano una danza estremamente pericolosa e coinvolgente. Entrambe hanno bisogno fondamentalmente l’una dell’altra. La parte narcisistica necessita di controllare, e divenire il burattinaio che tira le fila del proprio spettacolo. La parte insicura di avere qualcuno vicino che lo protegga e gli dia validazione ad ogni costo. E per tanto seppur controllante meglio assieme a qualcuno piuttosto che soli. Ebbene si entrambe si incontrano perché in qualche modo necessitano l’uno dell’altra. Il narcisista non avrebbe infatti vita lunga e facile con un’altra personalità più indipendente. Il dipendente da parte sua sarebbe costretto a provare ad essere meno dipendente se entrasse in relazione con una personalità meno controllante. E il gioco dura solo finché entrambe decidono di continuare a giocare. Questo ci dice quanto anche la parte insicura e dipendente (riconosciuta come presunta vittima), abbia in realtà la propria responsabilità nel reiterare questo gioco. L’accettare tutto infatti mette l’altro nella condizione di continuare a fare ciò che fa. E i continui colpi sferrati dalla controparte mettono la parte insicura e dipendente nella condizione di perdere sempre più forza, indipendenza ed autostima. Tanto da non poter pensare di essere altrove che lì, nonostante l’indicibile sofferenza. I due fattori scatenanti la dipendenza affettiva Nelle relazioni non sane, sono due gli elementi principali che contribuiscono in breve tempo a mandare completamente in tilt il nostro sistema, e fanno si che si instauri una vera e propria dipendenza affettiva. Mi riferisco all’ambivalenza e al provare emozioni molto intense, siano esse positive o negative. Quando l’altro ha ripetutamente comportamenti non chiari, dice prima si poi no, per poi cambiare nuovamente le carte in tavola. Mi lascia, mi prende, scappa, poi torna super innamorato, mi dice cose belle poi brutte … In poco tempo il gioco è fatto e sarò completamente in balia dell’ambivalenza dell’altro e di questi picchi emotivi. Il nostro sistema quando è nella totale incertezza reiterata e nell’ambivalenza, smette completamente di funzionare. E ci si abitua ben presto anche ai picchi emotivi e si finisce col pensare che questa sia la normalità. Cominciamo a scambiare le montagne russe emotive per ciò che normalmente dovrebbe essere. La normalità invece non è fatta da picchi emotivi, ma da costanza, coerenza e linearità. Tenete a mente questi tre fondamentali ingredienti e ricercateli sempre nella persona che avete accanto. Una persona che può offrirci un amore sano sarà costante, coerente, lineare nei comportamenti, nel modo di parlare e di porsi con noi. E tutto questo ci darà quella sensazione di serenità che una storia sana dovrebbe offrirci. Le montagne russe emotive sono sempre indice di amore non sano, e quando ce ne accorgiamo (a patto di voler vedere la realtà), occorre mettere la giusta distanza. No Contact funziona? No contact vuol dire non avere più contatti con qualcuno che ci fa solo male. Ma può significare anche ridurlo al minimo essenziale nei casi in cui interrompere completamente ogni contatto non sia possibile, ad esempio quando ci sono dei figli in comune. Un aspetto che ritrovo spesso è invece una tendenza contraria al mettere la giusta distanza. Cioè l’intestardirsi nell’idea di doversi vedere per parlare, e portare ad ogni costo l’altro a capire le nostre ragioni ed i suoi errori. Ci raccontiamo insomma che possa essere utile tentarle tutte, ed ogni scusa è buona pur di vederlo a tale scopo affinché cambi. Iniziamo insomma una missione sino all’ultimo respiro, allo scopo di provare a redimere l’altro e far funzionare il rapporto. Quando lo capirete che non c’è nulla di più deleterio! L’unica vera rivincita non è cercare di portarlo a capire, o provare a cambiarlo, ma allontanarsi e riprendere in mano la propria vita. L’altro non lo capirà mai e non cambierà di certo perché lo volete. Il vostro compito non è cambiare qualcuno ma guardare in faccia la realtà. Vi illudete quindi e date solo modo a questo personaggio di reperire nuove cartucce da usare contro di voi. E continuerete di riflesso a vivere picchi emotivi fortissimi e molto dolorosi. Il No Contact funziona ed è l’unico vero modo per mettere fine al gioco, e per uscire dalla spirale dell’ ambivalenza nella quale ci troviamo. Praticare il No Contact consente di disintossicarsi e far si che un sistema completamente in tilt possa pian piano recuperare la propria normalità. Allontanarsi dall’ambivalenza aiuta a ricentrarsi e a rimettersi in sesto. Il no contact quanto deve durare? Il tempo necessario a disintossicarsi, e non è possibile stabilire a priori una tempistica essendo essa molto soggettiva. Ma di certo quando il processo di guarigione sta attecchendo ed è a buon punto ce ne accorgiamo, lo sentiamo. No contact: cosa non

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Insicurezza psicologica

Insicurezza psicologica: cos’è e come gestirla in 3 passi

L’insicurezza psicologica è una percezione soggettiva di fragilità, inettitudine ed incapacità. Una condizione che può coinvolgere più ambiti o ambiti specifici della vita di un individuo. Ed uno degli aspetti più frequenti per cui le persone richiedono un aiuto psicologico. Non tutti certamente percepiamo lo stesso grado di insicurezza, esistono infatti personalità più insicure di altre. Ma c’è da dire che in un particolare momento di vita, chiunque di noi anche i più sicuri, possono percepire una maggiore insicurezza e fragilità personale. Insicurezza psicologica: quali le tre componenti fondamentali Si tratta di una condizione percepita, composta da tre componenti fondamentali: una cognitiva, emotiva e comportamentale. Nella componente cognitiva troviamo tutti i pensieri negativi che l’insicuro coltiva su di sé. Pensieri del tipo non sono capace, sono debole, sono inadeguato… Pensieri limitanti che fanno si la persona si costruisca sempre più nel tempo un’idea completamente sbagliata di se stessa. Spesso tali pensieri provengono da un’educazione ben poco incoraggiante e validante ricevuta, da precedenti esperienze non positive, oltre che da una predisposizione personale e caratteriale all’ insicurezza. Nella componente emotiva troviamo le emozioni che il soggetto insicuro esperisce. Emozioni di ansia, incertezza e paura. Fino ad arrivare ad un terrore  così forte con conseguente completa paralisi. Tali emozioni sono per il soggetto insicuro qualcosa di difficile da gestire. E qualcosa che finisce con lo stigmatizzare completamente la propria identità. Quando il soggetto insicuro infatti esperisce tali emozioni negative, le legge come un reale segnale di inettitudine e pericolo (se provo tutto ciò vuol dire senza ombra di dubbio che sono davvero sbagliato, inadeguato e che c’è realmente da temere). L’ultima componente è quella comportamentale, ed è la parte che contribuisce a chiudere tale cerchio disfunzionale. Un circuito non virtuoso che si auto mantiene incessantemente, se non spezzato in modo adeguato. Dal punto di vista comportamentale molto spesso l’insicurezza psicologica si manifesta sotto forma di evitamento, cioè la tendenza a non fare per paura appunto di esporsi e non riuscire. E qualora ci fosse invece una timida volontà ad agire, a volte rischierebbe di essere così maldestra e poco convincente in quanto veicolata da un’esagerata insicurezza. Insicurezza psicologica ed autostima Va da sé comprendere quanto insicurezza e poca autostima “vadano a braccetto”. E quanto tutto ciò possa influire negativamente anche sull’umore generale di un individuo. Tutti noi abbiamo infatti la necessità impellente di poterci percepire positivamente e di sentirci validati dall’esterno. Abbiamo bisogno di sentire che siamo capaci, adeguati e che possiamo piacere agli altri. E quando tutto ciò si scontra con una percezione differente, chiaramente può iniziare dentro di noi un conflitto molto forte. Il problema può aumentare sempre di più man mano che si entra a far parte della sfera adulta. E siamo quindi chiamati in prima linea ad affrontare la vita, e a mostrare a noi stessi e agli altri chi siamo e quali abilità abbiamo. Quando parlo di abilità intendo ad esempio quelle lavorative, relazionali (amicizia, amore, ecc.),  e di problem solving (capacità di trovare soluzioni), ecc. Per una persona insicura fare tutto ciò non è affatto semplice e scontato. Molti scelgono per tale motivo l’evitamento, con conseguente scadimento della qualità della vita e delle relazioni. E per chi non sceglie l’evitamento tutto ciò verrà comunque affrontato con  profonde difficoltà. Insicurezza psicologica: 3 passi per guarire Affrontare l’insicurezza psicologica in terapia significa occuparsi di queste tre componenti. In quanto contribuiscono a sostenere il circuito vizioso dell’insicurezza, ognuna con il proprio contributo negativo. Occorrerà lavorare affinché i pensieri negativi vengano rivisti e smussati. Andando magari a vedere quanto è oggettivamente vero quello che pensiamo su noi stessi. Ed imparando che non sempre ciò che pensiamo e di cui siamo convinti è verità assoluta. Le emozioni andranno gestite, e occorrerà imparare che anche se quello che percepiamo è vero in quanto lo sentiamo, è possibile provare una forte emozione negativa anche per qualcosa che non c’è. E sarà necessario imparare a sopportare l’ansia e poter sentire che provarla non uccide affatto. Che provare ansia quando si fa qualcosa di nuovo o di importante è del tutto normale, e che il 100% delle volte il fare fa abbassare l’ansia a livelli sopportabilissimi. E come ultimo punto ma non per importanza, si dovrà lavorare affinchè la persona cominci un po’ per volta ad evitare meno. Quest’ultimo punto è in realtà non solo una componente ma un punto fondamentale, che se non trattato efficacemente fa si che si rimanga letteralmente bloccati. L’evitamento infatti è un arma a doppio taglio molto potente. Ci aiuta a sentirci subito meglio quando evitiamo il presunto pericolo, ma alla lunga ci priva di tutto. Ci priva della possibilità di fare delle esperienze, della nostra forza, della nostra autostima, della possibilità di crescere e migliorare. Ci priva della possibilità necessaria e fondamentale di andare a vedere come stanno davvero le cose e come noi siamo veramente. L’evitamento fa si che trascorriamo tutta la vita letteralmente in panchina, in attesa di una sicurezza che può passare solo attraverso l’affrontare un po’ per volta la paura  e le situazioni, non in altro modo. E anche se è vero che esistono personalità più insicure e meno insicure, anche per le prime si può fare molto a patto di volersi mettere in gioco. Superare l’insicurezza è possibile, e vuol dire poter avere finalmente una vita più ricca di possibilità e soddisfazioni, con conseguente ricaduta positiva sul proprio stato d’animo e sulla qualità della vita. Come dico sempre ai miei pazienti tutto si può fare a patto di volerlo davvero. E che lo scopo è divenire semplicemente capaci di agire in modo funzionale nel proprio raggio d’azione, e non fare nulla di straordinario o eccessivo. Nulla di eroico, divenire solo noi tirando finalmente fuori le nostre abilità, i nostri pregi e difetti, ma essere davvero ed umanamente noi stessi. Capaci di agire, riuscire e anche sbagliare, perché anche quando ciò accade non è affatto la fine del mondo. Da più di 15 anni, ascolto e aiuto persone concretamente a uscire da situazioni difficili, e

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